11. La cosa più bella di un viaggio

Mi tuffo con avidità nel bicchierone di caffè americano, come a domandargli un favore: quello di rendermi meno crudo e faticoso l’abbandono del mondo dei sogni. Sono le 7 del mattino di venerdì 16 settembre 2022. Un tizio che sembra uscito da un film di Tarantino continua a declamare la cronaca della sua ultima notte brava. Poi prende uno spruzzino e comincia a pulire la sua mustang color giallo limone. È spiccicato Harvey Keitel da giovane ed ho la netta sensazione che abbia dormito in auto stanotte. Cerco di immaginare la sua storia, ma credo vada oltre le mie capacità immaginative.
Alle 16 un boeing 747 della Lufthansa mi riporterà in Italia. Ho imparato già da molto tempo a fare a meno di quella tipica tristezza che accompagna i ritorni, il passaggio inevitabile tra una fase transitoria della vita a quella ordinaria. Da bambino la malinconia di quell’ultimo giorno, specie nel caso della vacanze estive trascorse al mare, era un sentimento potentissimo che mi atterriva e mi sovrastava, al punto da rimanere come un’ombra per tutto il corso della vacanza, un’amarezza di fondo che automaticamente smussava qualsiasi tipo di possibile gioia. L’ultimo giorno, la malinconia celebrava il suo diabolico trionfo fagocitando in un colpo tutto quel che era avvenuto nei giorni precedenti. Potevo aver vissuto momenti unici, fatto incontri indimenticabili, ma quel giorno maledetto, quello del ritorno a casa – incancellabile l’immagine di mio padre in piedi dall’alba che dispone ogni cosa nel baule dell’auto – l’angoscia si mangiava tutto, piantando il suo vessillo nero nel cranio di quel povero piccino, rendendolo triste fino alle lacrime.
L’età adulta, invece, tra tanti difetti, sa anche fare regali inaspettati. Mi ha insegnato a fregarmene di quel momento, a considerarlo un dettaglio insignificante. Ecco perché, mentre il boeing inizia le operazioni di rullaggio, abbraccio tutto quello che ho fatto in questi giorni americani, ogni parola scambiata, ogni dettaglio proiettatomi sulle retine.

Ad esempio, l’ultimo giorno, la sosta al Village Vanguard, il sacro tempio del jazz dove i più grandi hanno fatto la storia di questo genere. In particolare ho pensato a John Coltrane, ma soprattutto al mio amato Bill Evans. Scriveva Elémire Zolla: “In tutti i tempi e luoghi avanzano in un turbine i figli del Sole e il loro padre celeste li irraggia”. Sì i luoghi hanno un’anima formata dall’energia delle molte anime che quegli stessi luoghi hanno amato e vissuto.

Mi tengo tutto stretto, nel momento in cui una virata dell’aeromobile concede un ultimo sguardo a Manhattan, una metropoli che adesso pare osservarmi seria e un po’ sconcertata. Proprio come ci guardavano i nonni o i parenti quando papà metteva in moto la Prinz a si avviava lentamente all’imbocco dell’A24. Mi tengo tutto, non lascio scappare nemmeno una virgola di quel che ho vissuto, e continuerò a farne tesoro anche dopo l’atterraggio a Malpensa, quando in un lampo, a causa delle sei ore fantasma del fuso orario, sarà già sabato mattina. I primi giorni in Canada, l’impatto emotivo con il nuovo continente, il ridimensionamento di alcune convinzioni e la conferma di alcuni pregiudizi, l’arrivo a New York, l’incontro con così tante persone, immigrati italiani soprattutto, e la scoperta che al di là della piccola finestrella di ognuno c’è la vastità di un intero mondo.

Sono stati giorni così importanti per me, così unici per la mia vita – anche per il fatto di averli condivisi online con questo diario –, per la mia professione, per la mia passione per la scrittura. E anche una conferma di un fatto di cui sono sempre stato convinto. E cioè che quando vuoi ottenere qualcosa, se lo desideri per davvero, in modo sincero, sebbene ti sembri di non avere i mezzi e le possibilità, alla fine quella cosa lì la ottieni. Non è la prima volta che mi succede. E forse non sarà l’ultima.
Tuttavia, la cosa più bella di un viaggio è che alla fine si torna a casa. Ma soprattutto perché si torna un po’ diversi, un po’ cambiati, pronti a nuove sfide e nuovi traguardi. Pronti al cambiamento.
Riprenderò il mio posto alla direzione di TrentinoMese, con la consueta passione ed entusiasmo. Ritornerò finalmente – dopo la pausa forzata imposta dalla preparazione del viaggio americano – al romanzo che sto scrivendo e questa sarà senza dubbio la gioia più grande. Mi rimetterò davanti a quel manoscritto – già così tanto sviluppato e scritto – con una nuova energia ed un coraggio inedito. Come scriveva Lev Tolstoj, “tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiar se stesso”. Ed invece è a quello che dovremmo pensare. Sempre. Anche quando ci pare che possa non occorrere. Per diventare migliori e avvicinarci ancora di qualche centimetro alla felicità.

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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.