La cantina Endrizzi, fondata 140 anni fa, è un simbolo di tradizione e continuità. Le sue radici affondano profondamente nel Masetto di San Michele all’Adige, un luogo unico che sembra sospeso nel tempo. Qui, tra le montagne e i vigneti, il tempo scorre con un ritmo diverso, scandito dalle stagioni e dal lavoro incessante. La storia di Paolo e Christine, con i loro due figli Daniele e Lisa Maria e il marito di quest’ultima, Torben, che rappresentano la quinta generazione di viticoltori, è uno storytelling fatto di passione e dedizione, un intreccio di culture che si fondono in un’unica realtà. Un’alchimia che ha subito incuriosito l’occhio attento della regista Katia Bernardi che, in collaborazione con l’agenzia Archimede Creativa, ha sfornato “Così è la vite”, un docufilm unico nel suo genere. Andiamo a scoprire perché.
La storia di Paolo e Christine Endrici inizia come un film già scritto, in cui le radici della tradizione incontrano una nuova linfa vitale. Paolo, l’aspirante avvocato italiano, e Christine, l’architetto tedesca, si incontrano qualche annetto fa per la prima volta a Milano e subito lui la invita ad una “passeggiata” in montagna (in realtà erano su un ghiacciaio a oltre 3000 metri). Lei non ne è entusiasta. Lui per l’occasione modifica il canone della sua donna ideale. Eccoli, dunque, qualche anno dopo tra i vigneti della Cantina Endrizzi. Il loro incontro personale e professionale è segnato da una ricerca ostinata della bellezza, una filosofia che Christine porta con sé dalla sua terra natale. Lei vede il bello non solo nella natura, ma anche nelle cose semplici e quotidiane. È come se il suo occhio da architetto riuscisse a cogliere l’armonia nascosta tra i filari di viti e le antiche mura della cantina.
I volti di questa storia sono quelli di Paolo, Christine, Lisa Maria, Daniele e Torben. Volti ricamati dal sole e dal vento, volti che raccontano di giornate passate tra le viti e le cantine. Johann Kaspar Lavater, uno dei principali sostenitori della fisiognomica nel XVIII secolo, diceva che “il volto è l’immagine dell’anima; gli occhi ne riflettono le intenzioni.” Ogni tratto ha una storia da raccontare, ogni segno è un messaggio che il tempo consegna al genere umano, un viatico per il futuro. Forza e determinazione sono caratteristiche precipue in questa straordinaria famiglia. Fin da quando, allo spuntare degli anni Novanta, la nascita dei due figli porta una nuova luce nella vita di Paolo e Christine, un riflesso inedito che si riflette nei loro occhi e nei loro sorrisi.
Lisa Maria e Daniele crescono tra i vigneti, imparando a conoscere e amare la terra che ha nutrito la loro famiglia per generazioni. Decidono di andare a studiare “Economia vinicola internazionale” in Germania, portando con sé l’eredità della loro famiglia e un impeto quasi innato di migliorarsi e di migliorare, una sorta di caratteristica implicita dell’esistenza. D’altra parte, che ci vogliamo fare?! Così è la vita! E così è la vite! Eccoli dunque oggi, al lavoro stabilmente in cantina, sempre con nuove idee e prospettive sorprendenti. Il loro ritorno segna un nuovo capitolo nella storia della Cantina Endrizzi, un capitolo che guarda al futuro senza dimenticare il passato.
Il lavoro nella cantina Endrizzi è un lavoro con la L maiuscola, un lavoro fatto di passione, fatica e dedizione. Da queste parti, tutti lavorano insieme, giorno dopo giorno, per portare avanti la tradizione della loro famiglia. Ogni gesto, ogni movimento è parte di un rito antico, un rito che si ripete da generazioni. Le cesoie, gli attrezzi del viticoltore, sono strumenti di precisione e pazienza, strumenti che richiedono abilità e conoscenza.
In tutto ciò, magistralmente, la regista Katia Bernardi cattura tutto questo con la sua cinepresa, trasformando la vita e il lavoro quotidiano in attimi straordinari, spicchi di tempo che si fissano per sempre. Le sue scelte estetiche, l’uso della luce, delle ombre e dei colori, permettono di comunicare emozioni e stati d’animo che vanno oltre la semplice descrizione verbale. Una volta, Federico Fellini disse che il cinema è “un modo di vivere più intensamente”. Bernardi porta questa intensità nel suo lavoro, creando un racconto visivo che è tanto poetico quanto realistico.
In apertura del film, Paolo viene ripreso in bicicletta mentre racconta come “lo sviluppo della vigna ogni anno emoziona: parti dal nulla e in 100 giorni hai l’uva matura”. Questa frase racchiude un miracolo. Il respiro prodigioso della Natura che si ripete ogni anno e che non smette mai di incantare. Come scriveva Rainer Maria Rilke: “Viviamo nell’interpretazione, nella spiegazione, nella traduzione, ma la vita stessa non è in nessuna di queste cose. La vita è pura, diretta, senza intermediari.”
“Così è la vite” non è solo un documentario, ma una piccola opera d’arte. Osando, potremmo affermare che quel neorealismo documentaristico grazie al quale mostri sacri come De Sica e Rossellini, negli anni ‘40 e ‘50 del ‘900, rappresentarono così realisticamente la vita quotidiana, con Katia Bernardi ha trovato una moderna germogliazione, che oltre a guardare con più ottimismo alla realtà, trova al contempo nuove strade, unendo cinema, narrazione e giornalismo, senza dimenticare un immancabile tocco poetico e sentimentale. È in questo solco che celebra la vita e il lavoro di una famiglia straordinaria. Racconta una storia di passione, di tradizione e di innovazione, una storia che si svolge tra i vigneti del Trentino e che guarda al futuro con determinazione. In definitiva, la storia degli Endrici raccontata con uno sguardo d’autore sta a dirci almeno due cose. La prima è di ordine sociologico ed è che la famiglia può ancora funzionare come dimensione in cui muoversi seguendo un progetto. La seconda è che la tradizione è una forza vitale, una radice profonda che nutre e sostiene, ma anche una spinta verso il nuovo.
Questo docufilm dimostra che, pur in un presente tecnologico e distratto, il racconto per immagini non ha perso il potere unico di narrare storie, nemmeno quelle – come questa che vi abbiamo appena esposto – che sembrano raccontarsi già da sé, vantando una sceneggiatura già scritta nel luogo, negli occhi e sulla pelle dei protagonisti. Attraverso grandi scelte e piccoli gesti quotidiani, spesso trasmutando l’ordinario in straordinario, il film mostra come un’azienda familiare possa diventare grande, come la passione e la dedizione possano trasformare il lavoro in un’opera d’arte. Aggiungendo a ciò lo speciale connubio di culture, quella italiana e quella tedesca, di cui Cantina Endrizzi dispone, eccoci di fronte alla chiave per una storia speciale, che merita di essere vista e a lungo ricordata.
La regista
Katia Bernardi è una regista e sceneggiatrice, nata a Trento. Dopo aver conseguito una laurea in Storia e Critica del Cinema all’Università di Bologna, inizia la sua carriera nel mondo del documentario e del cinema indipendente. Conosciuta per il suo stile narrativo sensibile e attento alle storie personali, Katia Bernardi ha saputo creare opere che esplorano temi sociali e culturali con un approccio intimista e coinvolgente. Tra i suoi lavori più noti si annovera il documentario “Funne – Le ragazze che sognavano il mare” (2016), che racconta la storia di un gruppo di anziane donne trentine che, per la prima volta, decidono di vedere il mare.
Ha collaborato con diverse produzioni televisive e cinematografiche, lavorando anche su progetti come “Sogni di Grande Nord” (2017), un viaggio tra le comunità del nord Europa, e “Voglio dormire con te” (2019), che esplora il tema dell’insonnia attraverso testimonianze personali. Inoltre, ha creato la serie “Falegnami ad alta quota” (2020), che segue la vita e il lavoro di artigiani del legno nelle Alpi italiane, mettendo in luce la tradizione e la passione dietro questo antico mestiere.