Addio al rock dal vivo o solo un arrivederci?

Quanto ci manca la musica dal vivo? Quando potremo tornare a percepire l’adrenalina di un concerto rock? Stretti gli uni sugli altri, respiro nel respiro, corpi che si stringono in una morsa a metà tra la danza e la lotta, sudori che si confondono, voci che strillano a squarciagola la propria canzone. Gli ultimi dodici mesi hanno relegato questa esperienza in un passato che oggi ci sembra inaccessibile. Guardiamo le foto che scattavamo durante i concerti e pensiamo: «Quanta gente, che ressa, …che ansia!». Non eravamo incoscienti, eravamo spensierati. Niente nell’universo poteva farci pensare che quel tipo di esperienza potesse semplicemente sparire. Eppure così è stato e lo sarà ancora per lungo tempo perché quei raduni sono oggettivamente insostenibili dal punto di vista epidemiologico. Certo, possono esistere raduni musicali “sanificati”, che con mascherine e distanze consentano di fruire della musica che amiamo. E presto, grazie all’incremento del numero di vaccinati, le limitazioni forse saranno più modeste. Ma quel tipo di concerto non è all’orizzonte. Ed è giusto così. La vita e la salute vengono prima dell’estasi del rock. Ora però scopriamo quanto quei concerti nutrissero l’anima. C’è qualcosa di catartico nel trovarsi in mezzo a migliaia di sconosciuti che si guardano negli occhi e si sorridono e si abbracciano come fratelli. Un allenamento all’umanità, all’abbattimento dei pregiudizi, una terapia d’urto per la timidezza. Allora ci crogioliamo nell’invidia per ciò che è accaduto in Nuova Zelanda: nella città di Waitangi il 16 gennaio c’è stato il più grande concerto dal vivo dall’inizio della pandemia. Nessun distanziamento. Nessuna mascherina. Un pubblico di seimila persone strette come ai bei vecchi tempi. Tutti insieme per assistere al concerto della band reggae Six60. Tutto a norma di legge e, soprattutto, a ridottissimo rischio sanitario. La Nuova Zelanda ha infatti pochissimi casi di Covid-19, per lo più importati dall’estero. L’arcipelago risulta pressoché isolato dal resto del mondo e può vivere in questa maniera per noi “sconsiderata”. Incrociando le dita per gli amici neozelandesi, ci gustiamo le immagini e speriamo che, presto o tardi, potremo tornare anche noi a sgolarci, straziando il nostro brano preferito senza vergogna e soprattutto senza paura di farci e fare molto male.

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Pubblicato da Fabio Peterlongo

Nato nel 1987, dal 2012 è giornalista pubblicista. Nel 2013 si laurea in Filosofia all'Università di Trento con una tesi sull'ecologismo sociale americano. Oltre alla scrittura giornalistica, la sua grande passione è la scrittura narrativa. È conduttore radiofonico e dal 2014 fa parte della squadra di Radio Dolomiti. Cronista per il quotidiano Trentino dal 2016, collabora con Trentinomese dal 2017 Nutre particolare interesse verso il giornalismo politico e i temi della sostenibilità ambientale. Appassionato lettore di saggi storici sul Risorgimento e delle opere di Italo Calvino.