Nel 1984, David Sylvian era atteso al varco. Il giovane cantante – classe 1958 – dalla vita aveva già avuto molto: talento, bellezza, e successo, arrivato presto con una delle band più apprezzate della new wave inglese, i Japan.
L’anno prima, inoltre, Ryuichi Sakamoto gli aveva chiesto di collaborare alla colonna sonora del film Merry Christmas Mr Lawrence (o Furyo) di Nagisa Oshima, il regista de L’impero dei sensi: da quella collaborazione era uscito un brano epocale, Forbidden Colors, che Sakamoto ha continuato ad eseguire al piano in tutta la sua carriera, ma che la voce di Sylvian, cantante ad un tempo caldo e austero, con una propensione per il vibrato, rendeva ancora più intenso e commovente.
Rimaneva da affrontare l’incognita del disco solista. Già l’evoluzione dei Japan aveva fatto intuire la direzione: dopo un inizio molto glam il gruppo si era spostato progressivamente verso una musica sempre più sofisticata. Sylvian da solo avrebbe continuato su questa strada?
All’incisione di Brilliant Trees parteciparono musicisti di diversa provenienza, fra cui oltre a Sakamoto e a quasi tutti gli ex-Japan (tranne Mick Karn), i trombettisti Jon Hassel e Mark Isham e il polistrumentista, ex-Can, Holger Czukay, che diedero all’album un’impronta inconfondibile. Il risultato superò ogni aspettativa. Il disco era un impasto di rock, elettronica “avvolgente”, funk, jazz, persino ambient, ma soprattutto conteneva splendide canzoni, dalle incalzanti Pulling Punches e Red Guitar alla struggente Nostalghia, per approdare all’elegiaca Brilliant Trees, capace ancora di far sgorgare qualche lacrima. Al pari di Sting con il suo album d’esordio dopo lo scioglimento dei Police, il jazzato The dream of the Blue Turtles, Sylvian fece subito centro e si conquistò definitivamente il rispetto della critica, oltre che di una piccola ma non insignificante fetta di pubblico, che ha continuato a seguirlo anche quando la sua musica è diventata sempre più introversa. Il percorso di Sylvian mostra come a volte si possa andare in direzione opposta rispetto a quella che solitamente si ritiene essere la più percorsa: non dal difficile al facile, dal “puro” al commerciale, ma al contrario, da ciò che è più accessibile o vendibile a ciò che lo è di meno. Non sempre questo è indice di qualità, ma certo denota fiducia in se stessi e amore per la ricerca.