Amare anche nella malattia


Ciao Marlene,

Mio padre era un uomo di 45 anni di successo, iperattivo, invidiato perfino dalle mie compagne dell’università. Poi è arrivato quel maledetto ictus e anziché curarmi di lui, mi arrovello sul suo rapporto con mia madre. Il grande dolore ha sconvolto la mia famiglia. Lei è rimasta al suo posto, stoicamente, anche se la vedo molto introversa e “diversa”. Non mi dice mai nulla su come sta. Così una domanda continua a tormentarmi: ma lo amerà ancora?

Sagittario Lagarino

L’argomento è delicato e le mie parole possono solo essere uno spunto per riflettere. La malattia e le sue ripercussioni sono molteplici e personali, riguardano la sensibilità di ciascuno oltre che la propria forza interiore. Posso solo immaginare cosa voglia dire affrontare un evento così traumatico che inevitabilmente trasforma la routine quotidiana di tutta la famiglia. Quello che mi chiedi è però rivolto al ruolo di tua madre, al suo coinvolgimento e ai sentimenti che prova nei confronti di tuo padre. Una sfera davvero intima e privata nella quale credo nemmeno tu possa entrare troppo. Mi sembra che come moglie si stia comportando con coraggio e la giusta determinazione. Un uomo del nostro tempo, Enzo Bianchi, afferma che la malattia e il dolore, in sé, non sono mai positivi e salvifici, perché rappresentano la negazione più radicale e scandalosa della nostra aspirazione a una vita piena di significato. Ma aggiunge che se, pur nella malattia, noi continuiamo ad amare e ad accettare di essere amati, allora anche la sofferenza può diventare un’occasione di crescita umana e di speranza per il domani. Credo che la tua storia esemplifichi in modo molto limpido questa verità, perché tua madre con la cura e la presenza costante al fianco di tuo papà non fa altro che continuare ad amarlo. Prendi esempio da lei che probabilmente ha trasformato i pensieri di preoccupazione in gesti pratici, azioni capaci di dare sostegno e  far provare sollievo. Per tuo padre, ma anche e soprattutto per sè stessa.

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