America sì, America no

La guerra in Ucraina (guerra, non operazione speciale) ha fatto riemergere il dibattito, in Italia mai sopito, sull’antiamericanismo. Antiamericani vengono giudicati quelli che provano diffidenza verso la Nato e la politica estera americana in generale. Proviamo a fare un ragionamento sul tema.

Una premessa mi sembra necessaria. Alcune delle cose più belle di cui la mia generazione ha goduto vengono dall’America. Perciò, grazie, America, grazie per sempre. Non solo per i tuoi ragazzi venuti a morire sulla spiaggia di Anzio o sulle pendici di Montecassino (certo, assieme ad altri, un po’ da tutto il mondo). Grazie anche per quello che è venuto prima e dopo la Seconda guerra mondiale, e che ha reso la vita delle persone come me così interessante. Grazie per la letteratura, da Melville a Franzen. Grazie per i jeans. Grazie per la musica, per il blues, il jazz, il rock in tutte le sue incarnazioni. Grazie per il tuo cinema, grazie per Disney e, sì, grazie anche per la tua Coca Cola, che fa digerire. Grazie per le idee di libertà che hai ispirato, con il tuo 68, le tue battaglie per i diritti civili. Grazie per quella piccolissima cosa che si chiama internet, con tutti i suoi derivati, usciti non dal grembo della Mitteleuropa e nemmeno da Londra o Mosca ma dalla Silicon Valley. 

Per tante cose, insomma, dobbiamo ringraziare l’America, e ne ho nominate solo alcune. Non ho nominato, ad esempio, i nostri emigrati, o i parchi naturali, un’invenzione Usa (Yellowtone). Per non dire di questioni come il Federalismo Usa, o la Costituzione Usa, che sarebbe impossibile trattare qui.

Che cos’è allora che non mi piace dell’America? La sua violenza, innanzitutto. So di vivere in un Continente che ha inventato i campi di sterminio. Nondimeno, la violenza americana a me non sembra un’aberrazione né un prodotto di congiunture storiche particolarmente negative, ma un dato costitutivo della nazione. Sarà che l’America, nel momento in cui nasce, stermina i popoli che vivono lì. Sarà che l’America è cresciuta sulla schiavitù, e che ad essa ha poi sostituito, dopo una sanguinosa guerra civile, una società di fatto razzista, tant’è che abbiamo dovuto attendere M.L. King (e Lyndon Johnson) perché gli esempi più macroscopici di discriminazione venissero rimossi. O sarà che anche oggi, noi, da qui, vediamo con preoccupazione una società armata fino ai denti, in cui giovani bullizzati si vendicano ammazzando bambini in una scuola elementare e poliziotti ignoranti uccidono per strada civili neri senza battere ciglio. 

Ecco, è questo tipo di società, di cultura, di eredità storica, che piace poco. E, sì, fa pensare che quel tipo di società sia alla guida della Nato, e quindi anche alla nostra guida.

Prevengo un’obiezione: le cose che hai detto sono state fatte anche da altri. Gli spagnoli in America Latina hanno sterminato gli indios. I russi, a prescindere da Putin, ai tempi di Stalin hanno fatto morire di fame milioni di ucraini (un genocidio in piena regola, l’Holodomor). Perché le colpe dell’America dovrebbero essere più gravi?

Perché gli americani ci assomigliano di più. I massacri dei conquistadores spagnoli mi fanno meno orrore dei massacri compiuto dalle Giubbe Blu, perché più lontani nel tempo, ma soprattutto perché degli spagnoli del 500 non nutro una grandissima stima. Dell’America di Emerson, di Lincoln, di Thoureau, di London, di Warhol, di Bob Dylan, sì. Per la stessa ragione, ho più orrore dei crimini di Hitler che di quelli di Stalin. Il primo ha governato una società europea, complessa, vitale, la Germania della tecnologia più avanzata, della musica immortale, della grande filosofia (quei filosofi, tra parentesi, hanno continuato a filosofare mentre i camini dei lager fumavano). Il secondo ha governato una società che a parte alcune straordinarie oasi di cultura (la letteratura russa ha pochi eguali) era arretrata, totalitaria e oscurantista fin dai tempi degli zar. Dell’America diffidiamo non solo perché sentiamo il suo fiato sul nostro collo. Ma anche perché in lei ci rispecchiamo.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.