Amiche foreste

Tornare ad occuparsi delle foreste, dei boschi, su base scientifica ed ecologica, e farlo perché sappiamo che sono un prezioso bene comune. Questo è l’invito, l’auspicio e il programma di azione di un folto gruppo di oltre 25 tra associazioni, sindacati, enti culturali trentini, che hanno proposto una sorta di Green Deal per le foreste dolomitiche.

“Siamo convinti – scrivono nel documento che hanno sottoscritto e reso pubblico a fine gennaio – che la migliore risposta a questa calamità legata al cambiamento climatico [si intende la tempesta Vaia del 2018, ndr] consista nel riavvicinamento delle comunità locali alle tematiche inerenti le foreste e la loro gestione attraverso l’assunzione di responsabilità e la partecipazione attiva della società civile, dell’associazionismo e del volontariato, delle componenti economiche e professionali nonché dei Comuni, delle ASUC e delle altre proprietà collettive.”

Nel documento, che è molto ambizioso, si legge che la foresta può diventare l’areale naturale per un modello turistico compatibile con gli equilibri ambientali, fra le altre idee. Altri obiettivi indicati dai promotori riguardano la riduzione dell’impronta ecologica, lo stop al consumo di suolo e alla cementificazione, l’uso razionale e responsabile delle risorse naturali, attraverso il rilancio dell’intera filiera del legno considerando anche le diverse opportunità inserite nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e nei dispositivi dell’Unione europea, ad iniziare dal Green Deal e dal nuovo PSR.

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Piano economico

Sul piano economico, il patto propone un programma formativo ed educativo, incentrato su sostenibilità ambientale, buone pratiche di selvicoltura naturalistica, alpicoltura,  corretta gestione del patrimonio montano, zonizzazione e sviluppo di agricoltura di montagna. Si propone di incentivare le politiche di intervento pubblico, rafforzando i servizi e le filiere forestali e di vigilanza boschiva, assumendo nuovi lavoratori e lavoratrici, valorizzando nuovi profili professionali, promuovendo la connessione tra bosco, turismo “leggero”, favorendo produzioni di qualità, pratiche agricole a vocazione locale.

Piano ecologico e tecnico

Sul piano tecnico, il patto propone “un processo di ricostruzione e ricomposizione del tessuto forestale nel pieno rispetto degli equilibri naturali, compromessi dall’evento, e nell’infrastrutturazione di un complesso di interventi per la riorganizzazione del sistema di difesa dai rischi naturali quali valanghe, caduta sassi, frane e alluvioni.” Per realizzare questo, le associazioni affermano la necessità di misure e iniziative volte alla salvaguardia delle funzioni di presidio garantite dal bosco anche attraverso una nuova pianificazione che rafforzi le aree di protezione, proteggendo anche i boschi di pianura, che connettono pezzi frastagliati di biodiversità. Altro obiettivo indicato: il restauro ecologico di praterie magre e ricche di specie.

Strumenti operativi-gestionali

Si ritiene necessaria una revisione delle carte dei rischi geologici, idrogeologici e valanghivi e un piano straordinario di protezione civile legato al patrimonio forestale al fine di prevenire e gestire razionalmente eventuali nuovi fenomeni estremi.

Per migliorare e rafforzare la naturalità e ricchezza ecologica delle foreste trentine e dolomitiche, il documento spiega, richiede che all’interno delle politiche e degli interventi per la salvaguardia delle funzioni ecologiche del bosco, ci siano interventi di supporto e recupero degli spazi compromessi, come aree naturalistiche di pregio (aree di Natura 2000, ZPS, ZSC e SIC), radure e spazi aperti, prati aridi, pascoli e alpeggi.

Non manca una richiesta di maggior tutela delle esigenze ecologiche in bosco della fauna, come le zone aperte per i tetraonidi, per fare un esempio.

Il confronto e il suo Tavolo

Per prima cosa, chiede il documento, serve aprire un confronto, a partire da un Tavolo che raccolga portatori di interesse e associazioni proponenti.

Si tratta di una proposta complessa e ambiziosa. Vedremo se la politica e la società civile sapranno e potranno raccogliere la sfida positiva.

Una serra per capire e salvaguardare la biodiversità

A proposito di foreste … ai Tropici la perdita di biodiversità forestale, in zone montane e non solo, è un problema serio e allora … allora è bene connetterci con altre dimensioni forestali, di altri mondi ed ecosistemi, e riflettere, capire, studiare, emozionarsi.

Per questo esiste al MUSE la serra tropicale. Ha riaperto al pubblico a metà febbraio, dopo due anni di chiusura. Il piccolo “scrigno verde” torna  visitabile a piccoli gruppi, con obbligo di mascherina FFP2. Il tempo di permanenza in serra, ambiente tropicale con tasso di umidità del 70-80% e temperatura media attorno ai 26 gradi, sarà di 10 minuti, per un massimo di 25 persone in contemporanea.

Tante le novità: fioriture rare, nuovi nati e nuove specie che hanno trovato casa tra banani, ninfee giganti e alberi di cacao.

La serra è una piccola oasi tropicale tra le Dolomiti. Nei suoi 600 metri quadrati di superficie, protetti da un involucro di vetro e acciaio, oggi sono oltre 200 le specie botaniche radicate. La serra è un ecosistema in miniatura e tra le fronde, i frutti e gli specchi d’acqua si nascondono 13 specie di animali, tra anfibi, uccelli e pesci.

“In serra custodiamo diversi endemismi delle montagne dell’Eastern Arc della Tanzania, alcuni dei quali molto rari. L’obiettivo – spiega Francesco Blardoni, botanico – non è quello di creare un giardino tropicale, ma di far immergere in uno spaccato autentico di una foresta tanzaniana”.

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Pubblicato da Maddalena Di Tolla Deflorian

Nata a Bolzano, vive sull’altopiano della Vigolana (Trento). Ha una formazione in ingegneria, geografia, scienze naturali. È educatrice, interprete ambientale, giornalista. Collabora con la RAI di Trento e varie testate. La sua attività si focalizza in particolare su biodiversità, etica fra specie, ricerca scientifica. Ha seguito con varie associazioni ambientaliste alcune significative vertenze ambientali. E’ stata presidente di Legambiente Trento, delegata della Lipu Trento, oggi è referente di Acl Trento, occupandosi di randagismo e canili. Ha contribuito a fondare e gestire il canile, il gattile, il Centro Recupero Avifauna di Trento. Ha preso parte al salvataggio dei 2600 cani di Green Hill. Ha maturato una profonda esperienza giornalistica e di advocacy nelle vicende legate a gestione del territorio alpino e conservazione della biodiversità. Con il fotografo Daniele Lita ha firmato il libro “Fango”, sul disastro di Campolongo (Tn), per Montura Editing. Ha curato la ricerca giornalistica per la mostra “Chernobyl, vent’anni dopo” (Trento, 2006).