Andare in montagna è un modo d’essere

Non c’è giorno che aprendo il giornale non si abbia notizia di incidenti accaduti in montagna o in luoghi alpini: tranquille famiglie che passeggiano su laghi ghiacciati indifferenti al pericolo, lunghe code di camminatori in scarpette da ginnastica su impervi sentieri, escursioni trasformate in terribili bivacchi notturni, sfilate di abbigliamenti supertecnici che s’infrangono dopo centinaia di metri nell’inesorabile “fatica” del camminare, ecc. Il tutto sotto il rassicurante – ma non sempre, come la cronaca dimostra – cappello del pronto intervento, dell’elicottero sempre disponibile, degli uomini del soccorso alpino a disposizione di chi in montagna si avventura senza nessuna cognizione di causa, dei gestori di rifugi pronti a intervenire – dalle padelle alle pareti – e ai quali si richiede di tutto e di più.

Molti anni fa – siamo negli anni tra le due guerre – sulla rivista fiorentina Il Bargello (esattamente il n. 10) edita da Vallecchi – apparve un articolo nel quale si notava che «andando in montagna oggi capita di non sentirsi più a casa propria come una volta»: ci si lanciava contro i «parassiti che trasportano le loro vane abitudini mondane nei centri alpini e che appena fanno quattro passi fuor dai loro alberghi, con previa imbottitura di lana, scarpe foderate e mille ammenicoli superflui», distruggono la “poesia montana” fatta di stile, semplicità e sincerità che invece si dovrebbe mantenere. Al di là della fraseologia tipica del tempo, noi registriamo un problema che oggi è diventato impellente: il trasferimento di ritmi, tempi e desideri urbani sui campi di neve, nei rifugi, sulle vette e lungo i sentieri. Molti sono gli albergatori che prediligono l’aspetto quantitativo a quello qualitativo e pur di raggiungere il tanto meritato profitto o superprofitto sono disposti a tutto, come hanno denunciato molti film degli anni scorsi presenti al Trento Film Festival dedicato ai temi della montagna o, rimanendo alla carta stampata, l’articolo apparso sul Corriere del Trentino il 21 aprile di quest’anno a firma di Isabella Bossi Fedrigotti intitolato Il rischio riminizzazione per le nostre montagne. D’altronde è recente la notizia della creazione di un resort pentastellato in Val Passiria dotato di palme per sentirsi in montagna e allo stesso tempo non aver nostalgia del mare, per essere in un ambiente alpino e contemporaneamente nella solare mediterraneità …

Di sicuro una cosa si è persa in questi anni: ci si è dimenticati di quella “spiritualità” dell’essere al mondo, e quindi anche dell’andare in montagna, che è essenzialmente uno stile di vita, un modo di essere, una ricerca dell’organicità con l’ambiente che ci circonda, di esserci dentro.

C’è un libro la cui lettura consigliamo caldamente a albergatori, politici e addetti alle pubblicità – privati e pubblici – e da adottare nei corsi delle accademie turistiche, un libro a cui si abbeveravano gli alpinisti di un tempo e che potrebbe essere utile non per adeguarsi a comportamenti e atteggiamenti diversi ma per avere un parametro con cui confrontare le tante chiacchiere lasciate in libera uscita da bocche di chi mette in prima fila il profitto e non la cultura dei valori. Il libro era apparso nel 1989. A quel tempo scrivevo, oltre che di arte, per la pagina della cultura di montagna del quotidiano “Alto Adige”, poi diventato il “Trentino”, recensendo i film del festival della montagna. Un pomeriggio Ulisse Marzatico, indimenticabile libraio e uomo di profonda cultura, mi rincorse per strada con un libriccino in mano: «Devi assolutamente leggerlo». Il libro, curato da Edoardo Longo, si intitola Il regno perduto. Appunti sul simbolismo tradizionale della Montagna ed è edito da Il Cavallo alato (Padova): raccoglie undici interventi di autori diversi – da Ernesto Majoni a Renato del Ponte, Domenico Rudatis, Cesare Giacomini, Maurizio Rossetti, Bernard Marillier, ecc. – su un diverso e altro modo, antico come il mondo, di andare in montagna e vivere la montagna. È un libro nato come una sfida al conformismo del tempo e al piatto egualitarismo che riduce ogni impulso e tendenza del genere umano a un’insignificante questione di appetiti rampanti.

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Pubblicato da Fiorenzo Degasperi

Fiorenzo Degasperi vive e lavora a Borgo Sacco, sulle rive del fiume Adige. Fin da piccolo è stato catturato dalla “curiosità” e dal demone della lettura, che l’hanno spinto a viaggiare per valli, villaggi e continenti alla ricerca di luoghi che abbiano per lui un senso: bastano un graffito, un volto, una scultura o un tempio per catapultarlo in paesi dietro casa oppure in deserti, foreste e architetture esotiche. I suoi cammini attraversano l’arte, il paesaggio mitologico e la geografia sacra con un unico obiettivo: raccontare ciò che vede e sente tentando di ricucire lo strappo tra uomo e natura, tra terra e cielo, immergendosi nel folklore, nei miti e nelle leggende. fiorenzo.degasperi4@gmail.com