Tempo di pandemia, tempo di morte e di speranza. Tempo di penitenze, di promesse e di paure, di rimorsi. Forse oggi, a differenza del passato, non si conteggiano più i peccati, la paura e il terrore dell’aldilà sembra non essere più di casa. Non poteva quindi mancare, in questa rubrica, una digressione sulle apocalissi che decorano molte delle nostre chiese medioevali.
Viaggiando di chiesa in chiesa sorge una domanda: in passato peccavano più i trentini (principato vescovile di Trento) o i sudtirolesi (principato vescovile di Bressanone)? O, formulando la domanda da un’altra prospettiva, avevano più paura del giudizio universale gli isolati abitanti dei masi, avvezzi ad un rapporto quasi diretto con la vita, Dio e la morte, o i cittadini che vivevano nelle labirintiche viuzze delle città e dei paesi tridentini? Stando alla testimonianza dei giudizi universali affrescati nelle chiese e giunti fino a noi, sicuramente erano i sudtirolesi i più intimoriti e spaventati dal Diavolo che sconfigge persino San Michele. Diciotto sono i giudizi affrescati in Sudtirolo e otto in Trentino, almeno quelli sopravvissuti al cambiamento delle mode, alle censure tridentine, ai bombardamenti della I guerra mondiale. La maggior parte di questi affreschi si trova in “periferia”, in chiese alpestri sperdute nei monti, dove mai ci aspetteremmo di vedere, dispiegata su bianchi muri, la rappresentazione concreta delle paure e angosce medioevali. Eppure è proprio così. Più ci si allontana dalla città e più la paura diventa ossessione, materializzata in bocche di mostri spalancate e in orribili diavoli che, come Lucifero, “non avean penne, ma di pipistrello era lor modo” come ci ricorda Dante nel suo Inferno.
Arrampicatevi fino alla chiesa di S. Giovanni Evangelista a Meluno, sopra Bressanone, ai piedi della Plose, entrate e sedetevi nel banco. E guardate il grande Cristo che giudica l’umanità risorta. Mettetevi nei panni di un contadino del 1500 – gli affreschi sono del 1464, del maestro Leonardo di Bressanone, lo stesso che dipinse i capolavori del chiostro del duomo brissinese –, entrate nella psicologia di un analfabeta, ricco però di saperi quotidiani, e sentirete un brivido di gelo scendervi per la schiena. Lì davanti – gli esempi si possono moltiplicare per il numero delle chiese –, il nostro personaggio vede ciò che potrà capitargli. La grande bocca dell’Inferno, del divoratore dei dannati, di chiara ascendenza egizia – Ammut dalle mascelle di coccodrillo –, è la porta dell’Ade e la bocca della Gorgone.
E ancor più fa paura quell’angelo che, con la spada sguainata, spingendo i dannati tra le lingue di fuoco, sembra chiudere a chiave la porta, togliendo ogni speranza. Per quanto Dio, Gesù e tutti i Santi partecipino alla grande battaglia dell’anima del nostro povero contadino, quel maledetto cavallo bianco cavalcato a spron battuto dalla morte, tiratrice infallibile di dardi mortali (Bolzano, chiesa dei Domenicani), è quella che ti accompagna per tutta la vita. E non c’è consolazione nel guardare gli affreschi della chiesa di S. Vigilio a Carisolo (val Rendena), nonostante al gran ballo dei morti ci siano tutti, proprio tutti, ricchi e poveri, vescovi e principi, mercanti e frati.
Non danno conforto neppure le scene edulcorate del settecentesco giudizio universale di Valentino Rovisi, dipinte nella chiesa di S. Pietro a Cembra: i morti che hanno il colore della terra si risvegliano e si sollevano indossando le vesti bianche della salvezza; ma sono pochi, pochissimi, la maggior parte sta cadendo più in basso, nell’Inferno. E lì, a guardare gioioso, c’è il Diavolo, travestito da drago, dipinto mentre sta ingoiando i dannati, uno dopo l’altro, contornato da un mondo di fiamme e di grotte buie che conducono al centro della paura angosciante della notte perenne (chiesa di S. Biagio, Levico). Lo stesso diavolo che tiene in mano un bastone con tre uncini con cui trafigge gli intestini di un vecchio, un diavolo dalle sette teste, schiacciato ma non vinto da san Michele, troppo intento a pesare le anime – novello azzeccagarbugli – che non a trafiggere il serpente nato dai pensieri eremitici di san Giovanni (Apocalisse).
I diavoli hanno stranamente la faccia del demone Humbaba o quella del dio egizio Bes e i tanti buffi demonietti dalle grandi orecchie adagiati su un piatto della bilancia ci sembrano avere le stesse movenze dei jinn, gli spiriti del deserto. Oppure hanno gli elmi come i cavalieri teutonici. Strani diavoli questi della misteriosa chiesa circolare di San Giorgio a Scena (Merano), con i volti grifagni, neri, spaventosi, terrifici come i cavalieri dai mantelli neri che, nello stesso periodo, si aggiravano tra le commende di Lana e quella di Longomoso sul Renon. I diavoli e i cavalieri sono i novelli becchini, ti fanno uscire dalle tombe per poi trascinarti lungo fiumi infernali infuocati che non riusciranno mai a lavarti i peccati, gettandoti per l’eternità nella disperazione. Le iconografie infernali erano percepite in modo talmente veritiero da aver legittimato i numerosi processi, dai roghi degli hussiti della Pusteria alle decine di donne torturate e giustiziate, da Cles a Cavalese, da Coredo a Fiè.
Quattromila anni di “fallimenti” di Satana
L’inferno, come la paura, ha una sua musica particolare. Le trombe che accompagnano il giudizio universale rimbombano anche la notte; è una musica che ti trascina verso la paranoia ossessiva di una salvezza impossibile da raggiungere. La vita quotidiana era la storia della lotta contro il Diavolo che cerca di corrompere la purezza della Chiesa cristiana. Il nostro contadino lo sentiva ripetere ogni domenica, ad ogni funzione: questo diavolo era lì, lo si poteva toccare con mano, qualcuno diceva che le streghe ne grattassero l’affresco per mescolare il colore con le loro misture atte a farle volare al sabba. Lo racconta al processo Anna Miolerin, di Fié (giustiziata il 3 agosto 1510), maestra delle danze: tanta, tanta gente partecipava alle nostre riunioni, la ressa di popolo e di diavoli è tale che voliamo fitti fitti. È un diavolo erotico, sessualmente prestante. A Morter (val Venosta), nella cappella di S. Stefano, il diavolo, con in mano una mazza da cavaliere, ha sia il seno – sebbene pendulo e avvizzito – che un grande pene eretto, che s’intravede ancor oggi benché una mano sconosciuta lo abbia graffiato via. Una visione che sicuramente avrà tormentato le notti di giovincelle e delle innumerevoli vedove bianche. Non sono solo i poveri cristi le vittime del Leviatano, il drago dalla bocca fiammeggiante: il diavolo popputo e fallico, assieme ad un secondo diavolo dotato di orecchie d’asino, sta dando la caccia ad un frate infedele, colpevole di aver infranto i voti e la regola. Se perfino il clero sprofonda nella voragine infernale, che speranza si ha di essere salvati? Sembra quasi che Dio abbia permesso la malvagità del mondo per provare al genere umano che soltanto l’ubbidienza salverà dal dominio del male e del Diavolo. Le parti positive del giudizio universale, quelle in cui le trombe fanno sollevare i corpi e gli angeli li portano via con sé in paradiso, vogliono essere la testimonianza di più di quattromila anni di fallimenti di Satana, dei suoi demoni e degli uomini che hanno cercato di agire indipendentemente da Dio. Però, scorrendo la serie di affreschi riguardanti il giudizio universale, di Paradisi non è che se ne vedano poi tanti: vediamo i sorrisi delle anime che s’innalzano verso il cielo – sembrano quasi visi assonnati più che felici – ma ben pochi paradisi in cui si trascorra in beatitudine il resto dell’eternità. Leviatani, Luciferi, diavoli e diavoletti (krampus): di questi invece ce n’è una moltitudine.
Quando il fedele tornava a casa dalla chiesa, i diavoli lo seguivano. Quando sentiva un inspiegabile formicolio, ecco, era il diavolo che cercava di tentarlo. Le punture moleste, le palpitazioni di parti del corpo, le vesciche sulla lingua – che lasciavano arguire la presenza di molti spiriti che avevano invaso il corpo –, il gonfiarsi della lingua, il sentire il vento freddo per le braccia, ecc. sono tutte testimonianze che il corpo era stato posseduto dal diavolo che “divora come fuoco, attacca gli uomini come una febbre, ruggisce come il vento, non ha mani né piedi e viaggia nottetempo…”.
A Breguzzo, nella chiesa di Sant’Andrea, l’inferno dipinto da Adolfo Mattieli è un fiume di fuoco, un torrente impetuoso che taglia trasversalmente il cielo. Due mondi, il bene e il male. Sta al fedele decidere da che parte stare. Però non possiamo fare a meno di pensare a quanto di sessuale ed erotico ci sia in questi diavoli che ti catturano, ti stringono, ti fanno sentire posseduto e trascinato verso un piacere infuocato – di giorno e di notte – che nemmeno la Maiestas Domini sovrastante può sconfiggere (Tenno, S. Lorenzo).