Attendere l’esito del tampone, in attesa di uscire a… riveder le stelle

I casi della vita presentano una lezione particolare, molto dantesca, che parla di pandemia e di screening. Succede che dalla cattedra una professoressa si trovi catapultata in una manciata di ore sotto il tendone dell’APSS, in attesa di tampone. Un paio di alunni assenti per virus ed improvvisamente le certezze e le presunte stabilità fisiche si tramutano in dubbio. Che – ora dopo ora – diventa paura. Una paura infernale. Paura di un risultato che metterebbe in discussione non solo uno status fisico, ma tutta una serie di conseguenze organizzative e famigliari quantomeno diverse, per non dire complicate. E anche se la professoressa sta bene e non ha sintomi, le ronzano in testa tutte quelle dannate conseguenze che la quarantena comporta. Qualche esempio? Caserma rest per tutti i componenti delle quattro mura, spesa da commissionare a volontari da pianerottolo, training psicologico per sopravvivere alla convivenza forzata con i conviventi. Che, anche se sono i tuoi figli, non vuol dire che sia più facile. Nelle ore che precedono il test, la prof pianifica la peggiore delle eventualità: maxi scorta alimentare, ricarica di carta prepagata, tracciamento dei contatti, parcheggio corretto della macchina, regali natalizi da ripensare e rivedere in modalità online. Arriva il grande giorno. A casa fa finta di niente – ma quando mai una mamma si mostra in “modalità panico”?! – e parte in volata alla volta dell’attuale patibolo molecolare. La saggezza non ha età e l’allegro gruppo degli adolescenti di casa la saluta con qualche perla che lei ancora ricorda bene: “Almeno così sei sicura di non avere niente!”, “È inutile agitarsi, tra qualche ora lo sai”, “Vai tranquilla e spacca!” E poi la solidarietà e il cameratismo tra colleghe. Stessa ora, stesso posto. Sono in due le prof ad attendere di entrare nel tendone al PalaTrento. Si accordano e dietro le mascherine stabiliscono di entrare insieme. Sotto una pioggia intermittente e fastidiosa, ridono di niente per sdrammatizzare. Cosa hai fatto nel weekend, hai visto la neve, quanti giorni mancano a Natale. Poi salgono ognuna nella propria auto e avanzano lente. Ma quello davanti a loro non si muove più… lo stanno torturando?! Si tengono in contatto in vivavoce e non sanno davvero se ridere o piangere. Finalmente la professoressa arriva in postazione. Spegne il motore. Due individui fasciati da capo a piedi estraggono dalla provetta il famoso bastoncino cotonato e procedono mirando al setto nasale. Quante volte abbiamo visto questa operazione sui canali dell’informazione da un anno a questa parte? Milioni di volte, probabilmente. Eppure ad esserci lì, non è affatto semplice e scontato. Anche perché non consiste propriamente in un “su e giù”, ma in una attenta e particolareggiata esplorazione dell’incavo nasale. Una volta rilasciati i dati e fornite le istruzioni per il risultato rapido, si esce dal tendone, respirando l’aria pulita e verificando lo stato d’essere della narice. Adesso alla prof spettano due ore di attesa per conoscere l’esito dello screening. Tornare a casa? Non se ne parla. E allora si parte per un girovagare che sta tra l’assurdo e l’inconsapevole, nella presunta convinzione che quella libertà potrebbe essere l’ultimo sprazzo prima della messa a riposo forzata. Fino al momento in cui la prof vede che l’ora è quella giusta. Dal telefono – in quel parcheggio anonimo come la giornata – procede a scaricare la cartella clinica. Dai prof, coraggio. NEGATIVO. Evviva! Un sospiro che è più di un sollievo. La prof percorre mentalmente tutte le sue libertà: può tornare a casa e può uscire subito dopo, può andare a correre, può lavorare e vedere i suoi studenti, può vedere i figli uscire di casa e – perché no – andare a scuola (quel poco che è concesso), può assaporare insomma quelle poche libertà che fanno parte di questo oscuro periodo. E alla prof rimbalzano nella mente quei versi metaforici di Dante, che dalle tenebre dell’Inferno ritornava finalmente alla dimensione normale, umana: “… e quindi uscimmo a riveder le stelle.

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Pubblicato da Tiziana Tomasini

Nata a Trento ma con radici che sanno di Carso e di mare. Una laurea in materie letterarie e la professione di insegnante alla scuola secondaria di primo grado. Oltre ai grandi della letteratura, cerca di trasmettere agli studenti il piacere della lettura. Giornalista pubblicista con la passione della scrittura, adora fare interviste, parlare delle sue esperienze e raccontare tutto quello che c’è intorno. Tre figli più che adolescenti le rendono la vita a volte impossibile, a volte estremamente divertente, senza mezze misure. Dipendente dalla sensazione euforica rilasciata dalle endorfine, ha la mania dello sport, con marcata predilezione per nuoto, corsa e palestra. Vorrebbe fare di più, ma le manca il tempo.

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