Aveva una donna per amico…

Già dal titolo si capisce che siamo in un’altra stagione, rispetto a quella sulfurea inaugurata dal ‘68 e proseguita per gran parte degli anni Settanta con i cantautori “impegnati”. Una donna per amico lo dice forte e chiaro: qui si parlerà del cosiddetto privato, visto in quegli anni come contrapposto – o, al limite, complementare – al politico. Si parlerà di sentimenti, cosa che per la verità Lucio Battisti aveva sempre fatto. Ma come se ne parlerà, anzi, canterà? In maniera nuova. Al centro c’è un uomo, quello che fa colazione nella copertina dell’album, seduto con una bionda in cappotto e pantaloni al tavolo esterno di un caffè londinese. E quest’uomo, cosa ci sta dicendo? Che ha per amico (non amica, forse perché all’epoca la definizione poteva suonare ancora un po’ ambigua) una donna, appunto, una che “tante volte impara e a volte insegna”. Non una donna da sedurre, o da lasciare, o da onorare come madre e moglie, secondo la migliore tradizione italica. Solo una donna con cui avere un rapporto alla pari, di amicizia, a dispetto di quel che dirà Billy Crystal in Harry ti presento Sally (“è impossibile, ci si mette sempre di mezzo il sesso”).

Siamo con entrambe i piedi nella modernità. Il terreno è stato preparato da ciò che è avvenuto negli anni precedenti: il femminismo, le minigonne, la pillola, il divorzio. Ma siamo anche oltre a questo. 

Inciso nel Regno Unito (al Manor Castle), pubblicato nell’ottobre del 1978, questo disco è la giusta raccolta di canzoni uscita nel momento giusto. La musica è perfetta: siamo in pieno boom della disco music, ma a volte si fa più riflessiva, impreziosita da inserti di sax e tastiere (anche di mostri sacri come Mel Collins). Le perle si sprecano. Pensiamo a Nessun dolore, in cui l’uomo abbandonato si permette il lusso di non soffrire. A Prendila così, la fine malinconica ma senza tragedie di una storia perché lei è sposata, e non se la sente di continuare. Ad Aver paura di innamorarsi troppo, un titolo che è già un manifesto. O a Perché no, in cui la sintonia di coppia si nasconde sorniona fra le pieghe del quotidiano. 

Mogol al suo meglio. Pochi e perdonabili i momenti deboli, forse solo Selvaggia donna, ma è un giudizio molto personale. 

Ah, lo scatto di copertina è di Brian Ward, a cui si deve l’immortale cover dello Ziggy Stardust di Bowie.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.