Ballata per piccole iene

Era una fredda giornata di fine febbraio quando uscì dalla zona in cui stava cacciando ormai da qualche anno. Non era solita uscire da quel posto. Lì ormai era abituata bene, si trovava soddisfatta del suo lavoro, le prede non mancavano, ma quell’occasione valeva sicuramente un’eccezionale novità per la sua vita. La sua esistenza si poteva definire ottimisticamente ordinaria e cinicamente monotona e piatta. Tra tutte le possibili prede che aveva incontrato, infatti, quella era sicuramente la più cauta. Si diresse fiancheggiando baldanzosamente al fiume più vicino, con il fine di guadarlo. Temeva un po’ quel momento perché erano anni che non lo faceva. Nella sua zona infatti non c’erano fiumi. Ma l’occasione era troppo ghiotta. Non appena aveva saputo della morte, infatti, si era da subito sentita ravvivata nelle sue stanche membra. Sapeva che un’altra occasione del genere con ogni probabilità nella sua vita non le sarebbe ricapitata mai più. Papà iena glielo aveva insegnato: le prede vanno “colpite” quando sono ferite, è lì che sono più vulnerabili. Certo, poi bisognava considerare anche una regola etica importante che non andava trascurata. Ovvero il saper riconoscere quando era meglio tirarsi indietro, quando la situazione era eccessivamente tragica e travalicava il buon senso. Anche a costo di rimanere a secco per qualche giorno. Ma a lei in quel momento non importava nulla. Né delle parole di suo padre, né del fiume né della fame: voleva solo arrivare finalmente alla preda più ambita di tutte. Uscì dal fiume e si diresse verso la zona che sapeva essere teatro di quel macabro spettacolo. Ormai mancava sempre meno, il suo momento era sempre più vicino. Finalmente la vide: era proprio come gliela avevano raccontata, forse ancora meglio. Si avvicinò silenziosamente alla sua preda come gli aveva insegnato suo padre anni prima nella savana e, approfittando del palese stato confusionario e di debolezza della preda, attaccò senza pietà. Esattamente come il leone aspetta che la sua preda sia estenuata. Lo aveva fatto, ci era finalmente riuscita. La preda non reagì minimamente. Rimase a guardare la carnefice fare di lei quello che voleva con una passività disarmante. Sembrava che dopo le botte prese nulla potesse ferirla più. Era stoica di fronte alla fredda crudeltà della vita. Uscì immediatamente, non aveva più motivo di essere lì, la missione era compiuta. Era finalmente riuscita ad avere il suo selfie. In un nonnulla condivise il suo trofeo su tutti i social e le chat possibili, mostrandolo con lo stesso orgoglio con cui un cacciatore porta a casa la testa di un cervo maschio. Subito fu attraversata dalle tanto attese scosse di adrenalina e scariche di endorfine. Emoticon, commenti, gif animati infatti fioccavano ad esprimere ammirazione ed un filo di invidia. Non gli importò più nulla: né dell’etica né del dolore nè della pietà. Aveva finalmente il suo selfie, il resto poteva lasciarlo agli animali.

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Pubblicato da Fabio Loperfido

Nato allo scadere del millennio, Fabio è uno studente errante che ancora non ha ben chiaro cosa potrebbe volere il mondo da uno come lui. Nel mentre prova ad offrire ciò che vede con i suoi occhi tramite una sua lettura, con la speranza che il suo punto di vista possa essere d'aiuto a qualcuno martellato dai suoi stessi interrogativi.