Bambi va sempre più in alto

Compaiono magicamente, in certe mattine uggiose, tra i filari o nei vigneti, accanto al sentiero sul quale ci stiamo inerpicando, come apparizioni di creature mitologiche. Giusto il tempo di metterli a fuoco che sono già spariti. D’altra parte la sensibilità dei caprioli è estremamente sviluppata e la presenza dell’uomo è uno dei campanelli d’allarme per i loro delicati sistemi nervosi. Così, tante volte, noi amanti della Natura, dobbiamo accontentarci di vederli nei documentari, oppure in un cartone animato. Alzi la mano chi non ha pianto almeno una volta nella vita guardando “Bambi”, il personaggio della Disney nato dalla penna dell’autore austriaco Felix Salten.

Dove si nascondono, dunque? E quanti sono? Lo abbiamo chiesto a Francesca Cagnacci, ricercatrice del Centro Ricerca e Innovazione FEM, in occasione dell’uscita di due importanti studi – basati su studi condotti dalla Fondazione Edmund Mach – apparsi sulle prestigiose riviste scientifiche internazionali “Scientific Reports” e “Pnas”.

“Metodi sistematici per i censimenti non ci sono – ci ha risposto la dott.ssa Cagnacci – e sono comunque difficili da applicare. Certamente le densità sono minori in quota perchè zone meno vocate e relativamente con meno risorse….fino allo stato attuale”.

Qual è pertanto lo “stato attuale”? Ovvero l’effetto del clima sulla distribuzione dei caprioli nei prossimi decenni in Trentino (cambia il clima e il capriolo sale in quota). In conseguenza di ciò, diventa fondamentale il ruolo della memoria nella ricerca di cibo, monitorati dagli scienziati grazie all’analisi degli spostamenti (il capriolo cerca nutrimento in base al ricordo di esperienze passate e non in base alla percezione sensoriale).

Caprioli in Val di Cembra, Foto da fototrappole, Fondazione Edmund Mach

Cambia il clima, il capriolo in Trentino sale più in quota

Lo studio condotto dalla Fondazione Mach, pubblicato sulla rivista Scientific Reports (gruppo Nature) ha consentito di predire la distribuzione dei caprioli sulle montagne trentine nei prossimi decenni a seguito degli effetti dei cambiamenti climatici. Si tratta di una fotografia futura dei movimenti animali ottenuta grazie alla rara possibilità di confrontare i dati di spostamento degli animali a distanza di decenni, precisamente quelli raccolti dall’Università di Padova-Dipartimento DAFNAE all’inizio del 2000, e le più recenti localizzazioni di collari GPS della FEM, associati ad una proiezione climatica sviluppata con i dati di Meteotrentino che ha permesso di stimare la profondità di neve al suolo nei prossimi 50 anni.

Lo studio, che ha riguardato il Parco Adamello Brenta e zone circostanti nelle valli Rendena e Giudicarie, ha dimostrato che il limite delle coperture nevose si troverà a quote maggiori. Il capriolo, non adatto a spostarsi e ad alimentarsi nella neve profonda, potrebbe dunque in futuro occupare in modo stabile versanti ad altitudini maggiori delle attuali, probabilmente non migrando più tra siti stagionali invernali ed estivi.

“In realtà l’incremento di temperatura è stato registrato in modo notevole già durante il periodo considerato dalla nostra ricerca, con 1.5°C in più nei mesi invernali a Tione, nelle Valli Giudicarie” osserva Julius Bright Ross, che con questi dati ha realizzato la propria Senior Thesis presso il Department Organismic and Evolutionary Biology dell’Università di Harvard, supervisionato dal prof. Paul Moorcroft e dalla ricercatrice Francesca Cagnacci, che già abbiamo conosciuto.

“In modo innovativo e raro – osserva ancora Cagnacci – abbiamo utilizzato dei dati di comportamento reali per capire il futuro delle nostre specie di montagna, un ambiente particolarmente esposto ai cambiamenti climatici e agli interventi dell’uomo. Tenere conto delle variabili in gioco ci permetterà di preservare le nostre Alpi, sorgente preziosa di biodiversità, alla base della nostra salute”.

Francesca Cagnacci

“Cercano nutrimento in base al ricordo di esperienze passate”

Fino ad oggi non era chiaro se a guidare la scelta di nutrimento nei grandi mammiferi fosse la memoria oppure la percezione sensoriale della presenza di cibo. Una recente ricerca targata FEM e condotta in Trentino nei boschi della valle di Cembra, appena pubblicata sull’importante rivista PNAS, ha fatto chiarezza sui processi cognitivi che sottendono alle decisioni relative alla ricerca di nutrimento negli ungulati e ha dimostrato che la ricerca di cibo è dovuta prevalentemente al ricordo di esperienze effettuate in precedenza.

Nella sua ricerca di dottorato svolta presso FEM e Università di Harvard, Nathan Ranc insieme ai ricercatori Francesca Cagnacci, Federico Ossi e Paul Moorcroft hanno dotato 18 caprioli di radiocollari GPS e ne hanno tracciato i movimenti durante una manipolazione sperimentale della disponibilità di nutrimento.

Lo studio empirico supportato da modelli matematici è stato svolto in Trentino, in Val di Cembra, in un’area dove viene praticato il foraggiamento artificiale regolamentato per ungulati. I ricercatori hanno modificato sperimentalmente l’accesso al nutrimento (mais) chiudendo le mangiatoie con assi di legno, ma lasciando il cibo all’interno, per poi riaprirle assicurando l’approvvigionamento continuo, a periodi alterni di due settimane.

Con questo semplice accorgimento, i caprioli continuavano a percepire olfattivamente la presenza di cibo senza però poterlo mangiare. Il modello matematico ha dimostrato come durante le due settimane di chiusura delle mangiatoie i caprioli abbiano passato solo il 5% del proprio tempo presso questi siti di foraggiamento, una percentuale molto ridotta se confrontata con quanto riscontrato nelle due settimane antecedenti la chiusura, quando i caprioli restavano nelle immediate vicinanze delle mangiatoie per il 31% del proprio tempo.

“Se le visite ai siti di foraggiamento – spiegano i ricercatori – fossero state guidate dalla percezione della presenza di cibo, rimasta inalterata durante la chiusura, non sarebbe stato riscontrato il netto calo di visite osservato, che pertanto indica un processo cognitivo nelle decisioni di ricerca del nutrimento basato sulla memoria. Inoltre, a seguito della riapertura delle mangiatoie, i caprioli sono tornati a frequentare i medesimi siti, benché altre mangiatoie fossero disponibili nelle vicinanze”. Questo conferma il ruolo della memoria negli spostamenti finalizzati alla ricerca di risorse e suggerisce una preferenza per i siti conosciuti, un processo noto come ‘familiarità’, già sottolineato in una precedente pubblicazione del gruppo di ricerca. Secondo gli autori, una piena comprensione dei processi tramite cui gli animali rispondono ai cambiamenti ambientali, tra i quali anche la disponibilità di risorse, è fondamentale per sviluppare opportune strategie di conservazione e gestione della fauna, anche in considerazione dei cambiamenti climatici in corso.

Il capriolo in Italia 

I boschi di montagna o le periferie delle città non fanno differenza: il capriolo è uno degli ungulati italiani selvatici più diffuso (nonché il più comune a livello europeo) e recentemente sta salendo agli onori delle cronache per il fatto di spingersi fino a parchi pubblici, giardini di abitazioni e cassonetti. 
Le principali zone di diffusione del capriolo sono la Pianura Padana, l’Appennino, Prealpi e Alpi: predilige in ogni caso pianure, rilievi collinari o montagne poco elevate, caratterizzate quindi da scarso innevamento. L’ultima stima attendibile risale al 2010, circa 456mila esemplari, anche se negli ultimi anni l’impressione è che la popolazione sia aumentata.
Il capriolo è presente ovunque tranne che in Sardegna e in Sicilia.
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