Bellezza effimera in un mondo fluttuante

C’erano una volta nel mondo dell’arte, come in ogni altra disciplina, le scuole di pensiero. Da una parte Roberto Longhi (1890-1970), formalista, erede della tradizione purovisibilista, dall’altra Lionello Venturi (1885-1961), fautore della “fantasia creatrice”. Due personaggi importantissimi, due strade assai stimolanti ma chi venne dopo non fece altro che schierarsi, come fossero due squadre di calcio, o da una parte o dall’altra, lanciandosi strali, invettive, non accorgendosi che la loro influenza e risonanza, fuori dalla cultura italiana, su questo tema, è stata straordinariamente modesta. Una partita che ha avuto il merito o il demerito di fossilizzare la storia e critica d’arte su due strade che soltanto la cultura autarchica italiana pensava fossero le uniche vie interpretative dell’arte. Un’opposizione, un pensiero che ancor oggi condiziona la geografia intellettuale e accademica della storia dell’arte italiana, offrendo pedanti esiti frutto di pensieri precostituiti diventati ormai ideologici e fini a se stessi. 

Questo prologo mi permette di rispondere a certe domande che inevitabilmente ti pongono durante le conferenze, ovvero quali sono i tuoi maestri, a quali libri ti sei abbeverato per approdare alla tua visione dell’arte, quali sguardi attivi per raccontare un’opera (o un territorio).

Ebbene, ho sempre sostenuto l’importanza di un pensiero errante che disdegna e rifugge da ogni specialismo quando quest’ultimo diventa chiusura, restringimento, impoverimento. Quando un’opera o una storia la si racchiude in una sala di specchi, l’analisi diventa essenzialmente una questione di potere, di giochi di sponda tra cronologie, influssi e stili, impedimenti questi per una comprensione viva dell’opera d’arte e un ostacolo sulla strada verso il cuore della stessa. Non bisogna dimenticare che tutta l’arte è cannibale, vorace: come le matrioske ogni lavoro trascina con sé centinaia di frequentazioni in altre opere. 

Quindi al fiume-canale prediligo i mille rivoli, nella consapevolezza che il fiume ti apre una porta i rivoli ti dischiudono una molteplicità di percorsi e ognuno di essi ha pari dignità d’esistenza.

Mentre scrivo queste parole mi viene in mente un frammento del romanzo giapponese di San’Yutei Encho (1839-1900), La lanterna delle peonie. Storia di fantasmi il cui approccio al mondo ti accompagna su sentieri inusuali per noi occidentali – soltanto il revival gotico e il romanticismo ne ha esaltato le possibilità – aprendoti ampi panorami su cui lo sguardo può tranquillamente perdersi. È la storia di un amore “impossibile”. La giovane Otsuyu dichiara al giovane Shinzaburo che se non tornerà a trovarla, morirà. E così avviene. Ma una sera ecco riapparire Otsuyu con la sua serva Oyone e chiedono a Shinzaburo di accoglierle: e così avviene notte dopo notte. Al mattino scompaiono per ripresentarsi la sera e, finalmente, trascorrere notti d’amore. Qualcuno però si accorge di questo via vai e, sbirciando da una finestra, vede con stupore due fantasmi a tavola con Shinzaburo. Il racconto si dilunga per altre 200 pagine però basta questo esempio per farci capire come possono essere infiniti gli sviluppi delle viscerali e profonde storie d’amore, ben al di là, come ci ricorda, polemicamente, Truman Capote dei romanzi occidentali dove «tutta la letteratura è pettegolezzo».

Così come la letteratura giapponese ci aiuta a capire l’esistenza dei mille sentieri per capire e comprendere un’opera, un amore, un fiore, alla stessa stregua il percorrere, di volta in volta, nuove dimensioni, contraddicendo magari ciò che si è affermato il giorno prima al presentarsi di nuove informazioni e scoperte e tutto ciò nella consapevolezza che tutto si muove, tutto è magmatico, il mondo è perennemente fluttuante, la bellezza è effimera e la vita cerca di fuggire dalla ripetitività dei propri pensieri

Questa continua fluttuazione ci salva dall’erigere steccati, presunzioni, difese.

Condividi l'articolo su:
Avatar photo

Pubblicato da Fiorenzo Degasperi

Fiorenzo Degasperi vive e lavora a Borgo Sacco, sulle rive del fiume Adige. Fin da piccolo è stato catturato dalla “curiosità” e dal demone della lettura, che l’hanno spinto a viaggiare per valli, villaggi e continenti alla ricerca di luoghi che abbiano per lui un senso: bastano un graffito, un volto, una scultura o un tempio per catapultarlo in paesi dietro casa oppure in deserti, foreste e architetture esotiche. I suoi cammini attraversano l’arte, il paesaggio mitologico e la geografia sacra con un unico obiettivo: raccontare ciò che vede e sente tentando di ricucire lo strappo tra uomo e natura, tra terra e cielo, immergendosi nel folklore, nei miti e nelle leggende. fiorenzo.degasperi4@gmail.com