Bento Gonçalves. Dove il Brasile parla “trentino”

Inizia da Bento Gonçalves in Brasile il nostro viaggio alla ricerca delle comunità dei “Trentini nel mondo”. Bento Gonçalves è una città di 120mila abitanti che si situa in una zona collinare dello Stato federale del Rio Grande do Sul, nell’estremo sud del paese. Attorno al 1875, circa 730 immigrati di origine trentina popolarono la città e iniziarono a dedicarsi allo sviluppo della viticoltura, al punto che ora l’area di Bento Gonçalves è nota per essere la “capitale” dell’uva e del vino brasiliano. I nomi di alcune delle principali case vitivinicole brasiliane mostrano ancora l’origine dei fondatori, come nei casi di “Casa Valduga”, della “Vinicola Larentis” e della cantina “Peterlongo” (questa situata nella vicina città di Garibaldi). Ma il percorso degli immigrati trentini non è stato privo di ostacoli. Hanno dovuto domare una natura non sempre ospitale, adattandola alla coltivazione della vite, ed hanno sofferto persino le persecuzioni del regime militare di Vargas, che proibì l’uso della lingua italiana, pena la deportazione in campi di detenzione. Oggi il legame con la cultura italiana e trentina viene tenuto vivo dal Circolo Trentino Bento Gonçalves, che favorisce gli scambi culturali, familiari ed economici, grazie al gemellaggio con otto comuni della Vallagarina: Rovereto, Villa Lagarina, Terragnolo, Nogaredo, Trambileno, Isera, Mori e Brentonico. Abbiamo ascoltato il direttore culturale del Circolo Trentino Sandro Giordani, che ha sottolineato l’importanza del legame con le radici trentine: «I gemellaggi favoriscono l’incontro con le nostre famiglie lontane ed offrono importanti occasioni di sviluppo culturale ed economico».

Alcuni soci del Circolo: Sandro Giordani è il secondo da sinistra

IL VIAGGIO VERSO IL BRASILE

Il direttore Giordani ha spiegato quanto fosse insidioso il viaggio che a fine Ottocento portò i 730 trentini ad emigrare verso il Brasile meridionale: «I trentini partivano con poco e arrivavano con ancora meno. E tornare indietro non era un’opzione. Il viaggio si concludeva dopo quaranta giorni in mare a bordo di battelli a vapore transoceanici. Alcuni morivano durante la navigazione, in particolare i più anziani». I migranti poi approdavano ai porti di Santos o di Rio de Janeiro, dove venivano sottoposti a controlli serrati, prima di essere smistati verso le aree di destinazione: «Spesso finivano in quarantena presso l’Hospedaria – ha raccontato Giordani. Una volta giunti a Porto Alegre i migranti trentini venivano distribuiti nei lotti indicati». Giordani delinea con precisione la cronologia degli arrivi: «Venti famiglie arrivarono a Bento Gonçalves il 24 dicembre 1875, provenienti dai dintorni di Trento. Un anno dopo, il 31 gennaio 1876, arrivò il secondo gruppo di trentini, per lo più dalla Vallagarina. Il 31 gennaio 1877 giunse dalla Vallagarina il terzo gruppo di trentini che andarono a occupare gli appezzamenti di Vale dos Vinhedos». 

Feste Medievali

IL PRESENTE

Non è facile preservare nelle nuove generazioni, integrate nel Brasile multietnico, il senso delle proprie origini. E Giordani lo conferma: «I giovani di oggi hanno altri interessi. Le numerose opzioni culturali e il progresso dei media digitali sono i fattori che li attraggono maggiormente. La difficoltà è maggiore nelle grandi città. Nei piccoli centri ci sono ancora giovani che parlano il “Talian”». Ma Giordani assicura che la sensibilità cambia con l’età adulta: «Verso i quarant’anni molti iniziano a provare curiosità verso le proprie radici. Abbracciano di più la storia, le origini e la cultura dei loro antenati». Ma non tutto è perduto nemmeno presso i giovani, che possono essere avvicinati con un po’ di fantasia, spiega Giordani: «Il nostro circolo organizza il festival “Bento Medievale”, con numerose attività volte a recuperare le tradizioni eno-gastronomiche. Ai giovani piace gustare un buon idromele o una birra artigianale».

Rappresentanti degli altri Circoli del Rio Grande do Sul

La dimensione degli affetti: I GEMELLAGGI

In un simile contesto, i gemellaggi si rivelano fondamentali: «I gemellaggi sono molto importanti per mantenere uno stretto legame con le nostre origini – sottolinea Giordani – favoriscono il mantenimento di un legame tra le famiglie, ma consolidano anche i rapporti commerciali e culturali. Sono stati numerosi gli scambi culturali ed economici realizzati nel corso degli anni, che hanno coinvolto gli studenti, gli insegnanti di lingua italiana, gli agricoltori interessati nello sviluppo delle coltivazioni». Ma ancora una volta è la dimensione degli affetti quella che maggiormente caratterizza la comunità di Bento Gonçalves: «Ciò che è davvero essenziale è la conservazione dei rapporti di amicizia e di contatto tra le persone. Sindaci e amministrazioni vanno e vengono. La famiglia e i legami di amicizia restano per sempre. Non a caso, alcuni gruppi di brasiliani di origine trentina hanno l’abitudine di visitare il territorio trentino in cui hanno le radici».

LE RELAZIONI CON LA POPOLAZIONE LOCALE
Un elemento che rese più semplice per i trentini l’inserimento nella realtà brasiliana fu la collaborazione con le altre comunità di lingua italiana: «La differenza linguistica con la maggioranza dei brasiliani, di lingua portoghese, era un elemento di difficoltà – ha evidenziato Giordani. Ma tra italiani ci si capiva e ci si aiutava. C’erano le comunità lombarde, venete, friulane. Non è un caso se il “Talian”, il dialetto maturato dagli emigrati è un misto di trentino e veneto». Va sottolineato come questo senso di solidarietà tra emigranti di lingua italiana preceda nel tempo l’unione politica tra il Trentino, all’epoca sotto l’impero austrungarico, e il Regno d’Italia. Ma a complicare il quadro era il rapporto non sempre idilliaco con le autorità brasiliane: «Ci furono episodi di rivolte contro l’autorità statale accusata di aver abbandonato la regione – ha sottolineato Giordani – Ma il periodo peggiore fu quello che coincise con la Seconda guerra, durante l’era Vargas». Fu in quegli anni, dal 1939 al 1945, che si verificarono autentiche persecuzioni ai danni non solo dei trentini, ma di tutti gli italiani: «Dopo che il Brasile si alleò con gli Stati Uniti, ci fu una grande persecuzione verso gli immigrati giapponesi, tedeschi e italiani. Era vietato parlare la lingua nativa. Campi di detenzione erano stati creati in alcune parti del Brasile», ha spiegato Giordani.

La sfida dell’adattamento

Brasile, Indios “botocudos” e coloni a Ibirama, 1914 (ph. http://emigrazionetrentina.museostorico.it)

Non deve essere stato facile per i trentini adattarsi ad un contesto così differente: «I trentini cercavano una terra da lavorare per mantenere unita la famiglia – ha raccontato Giordani. Ma non era una sfida facile e le delusioni erano dietro l’angolo. Avevano lasciato città millenarie ed avanzate, con elettricità e ferrovie, mentre qui si ritrovavano in mezzo a foreste vergini, indios, animali selvatici, poco o niente cibo». L’incontro con gli indios è stato propizio: «Gli indigeni hanno insegnato ai trentini a procurarsi il cibo nella foresta. Hanno persino mostrato loro come mangiare i pinoli». Superata la fase della sopravvivenza, i trentini volevano importare nelle nuove terre la coltivazione della vite, ma sulle prime incontrarono grandi difficoltà: «Inizialmente non c’erano terreni pronti per la coltivazione della vite. C’erano troppe differenze climatiche. La coltivazione più diffusa era quella del grano. Fu fondamentale il confronto con altri migranti che si erano insediati qui da più tempo, come gli immigrati tedeschi che avevano già individuato delle varietà di vite adatte al clima locale». 

Si chiamava “MagnaLonga”, come in Trentino, ma dalla terza edizione diventata MagnaBento. È una passeggiata enogastronomica, dove i partecipanti vengono accolti con una colazione e raccontano la storia del luogo. Poi va avanti un trattore con un carretto pieno di vino, succhi, cibo e bambini o anziani. Sosta sempre nei luoghi storici, con la musica del coro, che racconta le origini di antiche case, ruderi e altre curiosità.
La biblioteca del Circolo, intitolata ad Enuc Giordani, ha più di 1300 libri e riviste…
La foto è stata scattata nel 1941 nel luogo denominato Linha Leopoldina, nel territorio di Bento Gonçalves (Rio Grande do Sul), nella zona che adesso si chiama Vale dos Vinhedos. Ritrae la famiglia Valduga, orginaria dell’omonima frazione di Terragnolo. Vi compaiono (da sinistra): Florindo Valduga (fratello di Adolfo) e Adolfo Valduga e quattro dei figli: José (seduto sulla mula), Luiz, Maria e Massemina. Armando Basso, Josè Perin e due dei figli: Casemiro e Fioravante e uno dei nipoti: Alcir. In fondo, Luiz Bau. Le donne: Albina Galvagni Perin (moglie di Casemiro) con il figlio Osvaldo; Matilde Perin Valduga (figlia di José Perin e moglie di Florindo) con in mano due grappoli di uva; Maximina Filter Valduga; Dosolina Capelli Perin (moglie di Fioravante) con la figlia Teresa; Colomba Lorenzini Valduga (moglie di Adolfo) con l’altra figlia, Angela. Foto concessa da Pedro Valduga Carraro.

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Pubblicato da Fabio Peterlongo

Nato nel 1987, dal 2012 è giornalista pubblicista. Nel 2013 si laurea in Filosofia all'Università di Trento con una tesi sull'ecologismo sociale americano. Oltre alla scrittura giornalistica, la sua grande passione è la scrittura narrativa. È conduttore radiofonico e dal 2014 fa parte della squadra di Radio Dolomiti. Cronista per il quotidiano Trentino dal 2016, collabora con Trentinomese dal 2017 Nutre particolare interesse verso il giornalismo politico e i temi della sostenibilità ambientale. Appassionato lettore di saggi storici sul Risorgimento e delle opere di Italo Calvino.