Bonazza. L’uomo che dipingeva la montagna (e Trento)

È tornato. Non con il passo leggero degli artisti giovani, ma con il silenzio definitivo di chi ha già detto tutto. Luigi Bonazza, pittore e incisore, classe 1877, è di nuovo nei palazzi del potere — ma questa volta ci arriva da morto. Sessant’anni dopo. La mostra che il Consiglio provinciale ospita a Palazzo Trentini non è solo un omaggio, è una ricostruzione. Una linea spezzata che si cerca di ricucire.

Bonazza torna a Trento nel 1912, da Vienna, città secessionista per eccellenza, capitale stanca di imperi stanchi. In quella città aveva imparato a disegnare, a incidere, a raccontare il mito. Poi la guerra, la fuga, il ritorno. È a Trento che costruisce la sua casa, affresca le Poste, insegna, dipinge le montagne. Le sue montagne.

Il progetto espositivo, curato da Roberta Bonazza e Nicoletta Tamanini, è una storia raccontata con i quadri. Con la luce. Con i margini. Ci sono le opere viennesi, sì, ma il cuore è altrove: nei paesaggi del ritorno, nelle tele che parlano di Trento come di un luogo interiore.

Alla Cappella Vantini la mostra continua, e si allarga al Circolo Artistico Trentino. Un nome, un’idea. Una generazione che cercava nella bellezza una risposta — o almeno una tregua. Oltre a Bonazza, ci sono Tomasi, Wenter Marini, Covi, Zuech, e altri ancora. Un pantheon? Forse solo una compagnia.

“Trento, la montagna, il circolo degli artisti” non è un titolo: è un triangolo di forze. È una geografia dello spirito. È ciò che resta quando si spengono le parole.

Il presidente del Consiglio provinciale ha tagliato il nastro. Ha detto cose che si dicono in questi casi, sulla cultura, sul dovere delle istituzioni, sulla bellezza che fa bene alla democrazia. Ma il vero discorso era sulle pareti.

E poi c’è la tela murale dei tre Cardinali, dipinta nel ’33 alle Poste. Una grande allegoria di concilio e di tempo sospeso. Nessuno l’ha dimenticata, anche se forse andrebbe restaurata. Come certe idee.

La mostra — lo ricordiamo — è aperta fino al 16 maggio. Palazzo Trentini, via Manci. Cappella Vantini, via delle Orne. Due luoghi, una sola voce. E forse un modo per guardare il paesaggio e capire che non è solo sfondo, ma destino.

Luigi Bonazza (Arco, 1877- Trento, 1965)

La prima formazione dell’artista nato ad Arco avviene presso la Scuola Reale Elisabettina di Rovereto, che frequenta dal 1890 al 1893. Dopo il diploma, nel 1897 si trasferisce a Vienna e si iscrive alla Kunstgewerbeschule, dove segue le lezioni di Felician von Myrbach, raffinato illustratore che gli insegna a disegnare e che lo avvicina alle tecniche dell’incisione e dell’acquerello. Dal 1898 frequenta il corso di pittura condotto da Franz von Matsch, artista che lavora con i fratelli Klimt. Nella capitale austriaca, dove affitta un atelier, collabora con alcune riviste e riceve le prime commissioni. Mantiene i contatti con il Trentino e con l’ambiente culturale italiano partecipando ad alcuni concorsi per decorazioni e illustrazioni, come quello promosso dalla rivista milanese “La Lettura”, che vince nel 1904. In questo stesso anno inizia a comporre la sua grande tela La leggenda di Orfeo, presentata all’Esposizione internazionale di Milano l’anno successivo, e intraprende la realizzazione del ciclo Jovis Amores, una serie di incisioni a tema mitologico esposte con successo alla mostra della Secessione e pubblicate nella rivista tedesca “Die Kunstwelt” e nelle inglesi “The Studio” e “The Graphic”. Nel 1911 inizia il ciclo delle Allegorie del giorno, che porterà a termine solo dopo la prima guerra mondiale. Nel 1912 torna a Trento, dove ottiene l’incarico di professore ordinario presso l’Istituto tecnico e riprende i contatti con l’ambiente artistico locale, partecipando alla fondazione del Circolo artistico trentino del quale è primo presidente. Nel marzo del 1914, a pochi mesi dallo scoppio della Prima guerra mondiale, l’artista fugge a Milano e nell’estate ottiene un lavoro come disegnatore presso le officine Caproni a Vizzola Ticino, dove esegue delle acquaforti sul tema dei velivoli. Alla fine del 1918 ritorna a Trento e riprende il suo lavoro di insegnante presso l’Istituto tecnico.

Nel 1930 gli viene commissionata la decorazione del Palazzo delle Poste di Trento. Negli anni Trenta esegue affreschi di soggetto sacro per alcune chiese della sua città; tra il 1935 e il 1938 soggiorna a Torbole, dove realizza degli interessanti paesaggi lacustri. Da questo momento si dedica principalmente alla pittura da cavalletto, portando a termine sia ritratti sia paesaggi. Interrompe l’attività artistica solamente all’inizio degli anni Sessanta a causa di problemi alla vista. Muore nella sua casa a Trento il 4 novembre del 1965.

Condividi l'articolo su:
Avatar photo

Pubblicato da Daria Tomasi

Giornalista e scrittrice con oltre 10 anni di esperienza nel mondo dei media. Dopo essersi laureata in Lettere moderne a Bologna, ha iniziato la sua carriera collaborando con diverse testate locali, specializzandosi in cultura e società. Curiosa e appassionata di storytelling, Daria ha viaggiato in Europa e Asia, realizzando reportage su temi di attualità e cambiamento sociale. Si occupa di approfondimenti su temi di inclusione, ambiente e diritti umani. Quando non scrive, ama esplorare nuove destinazioni e leggere saggi sulla comunicazione contemporanea.