Charleroi. Gli emigranti che fecero l’Europa

1981. Un incontro fra i trentini a Charleroi con l’allora presidente della Trentini nel mondo, Bruno Fronza (al centro)

Il nostro viaggio sulle tracce degli emigranti trentini prosegue alla volta del Belgio. Nel piccolo Stato affacciato sul Mare del Nord, i trentini sono approdati soprattutto a metà del Novecento, rincorrendo il miraggio del benessere e trovandosi il più delle volte impegnati in mestieri di grande fatica: gli uomini lavoravano nelle miniere di carbone, nelle cave di pietra, nelle acciaierie; le donne venivano impiegate nelle case dell’alta borghesia belga come domestiche. Culmine di quelle esperienze segnate dalla fatica e dalla sofferenza fu la tragedia di Marcinelle che nel 1956 costò la vita a 262 lavoratori, di cui 132 italiani ed un trentino, Primo Leonardelli di Viarago. Poi, anche grazie al processo di unificazione europea, il benessere finalmente si affacciò ed i trentini ed i loro discendenti si sono integrati nella società belga. Fino al punto che oggi i circoli trentini faticano a trovare adesioni tra i giovani. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Filippi, che ricopre l’incarico di segretario del Circolo trentino di Charleroi e di coordinatore dei Circoli trentini di lingua francese in Belgio e Lussemburgo.

Giuseppe Filippi

I PRIMI DECENNI DI EMIGRAZIONE

Sono 150 le famiglie di origine trentina tesserate nel circolo di Charleroi, che celebra quest’anno il suo sessantesimo anniversario. Ci sono circoli anche a Liegi, a Bruxelles e nel Limburgo. Ma è il circolo di Charleroi il punto di riferimento per la comunità di origini trentine, il luogo dove tenere vive le tradizioni, nonostante i cambiamenti della società: «Nei decenni il contesto sociale è cambiato molto – ha raccontato Giuseppe Filippi – In origine il circolo era il luogo dove trovarsi per parlare in dialetto. Poi è avvenuta una progressiva assimilazione e le seconde generazioni, quella dei figli dei primi emigrati, spesso non conoscono la parlata trentina. Oggi il circolo provvede anche alla valorizzazione della cultura e del turismo in Trentino». Dal racconto dei “vecchi emigrati”, quelli espatriati in Belgio nella prima metà del Novecento, emerge un ricordo piuttosto amaro della loro terra d’origine: «In generale le prime generazioni di emigrati non avevano un bel ricordo del Trentino perché erano state costrette ad andarsene per ragioni economiche. I vecchi dicevano: “Sono partito perché altrimenti morivo di fame”». Il senso di estraneità rispetto al Trentino che li aveva rifiutati si aggravò a causa delle persecuzioni politiche: «Durante il Fascismo molti se ne andarono perché perseguitati», precisa Filippi. 

Incontro dei Circoli trentini d’Europa a Marcinelle
Polentada d’autum del Circolo di Charleroi

L’APICE DELL’EMIGRAZIONE IN BELGIO

Il culmine dell’emigrazione trentina verso il Belgio arrivò al termine della Seconda guerra mondiale: «Dopo il 1946 furono tante le famiglie che si spostarono in Belgio. Erano stati siglati accordi italo-belgi per favorire l’afflusso di manodopera nelle miniere di carbone. Ci fu un’emigrazione di massa», indica Filippi che sottolinea come tuttavia le promesse non furono rispettate, principalmente da parte belga: «Erano state promesse case e stipendi favolosi, ma i trentini si trovarono a vivere nei caseggiati in cui avevano abitato i prigionieri di guerra e gli stipendi erano pari a quelli che lavoravano nelle cave di pietra, altra occupazione che dava da mangiare a molti trentini. Si poteva solo sopravvivere e non si riuscivano a mandare in Trentino le “rimesse”». Filippi segnala come l’emigrazione trentina verso il Belgio partisse in maniera trasversale dall’intero territorio provinciale: «Partivano principalmente dalle valli di Non e Sole. Dal comune geograficamente solandro di Cis partirono in molti per andare a lavorare nelle acciaierie. Altri provenivano anche dalla Valle dei Laghi, da Cavedine e dalla Valsugana.

Primo Leonardelli, l’unica vittima trentina di Marcinelle, veniva da Viarago, presso Pergine». I lavori che attendevano i trentini erano i più pesanti che si possano immaginare: «Tutti facevano lavori pesanti – racconta Filippi – Il lavoro in acciaieria era probabilmente il più duro, con le temperature dell’altoforno a pochi centimetri dalla faccia, era un inferno». Se questi erano i lavori destinati agli uomini, per le donne trentine il destino era quello di fare da domestiche alle famiglie belghe benestanti: «Le donne spesso lavoravano nelle case dei belgi, in maniera clandestina, serviva per arrotondare e per potersi comprare un paio di scarpe o l’occorrente per fare la torta la domenica». Nel poco tempo libero i trentini superavano le distanze chilometriche che li separavano per passare qualche ora con il resto della comunità: «I membri della comunità trentina spesso vivevano lontani e riuscivano a ritrovarsi solo la domenica – ricorda Filippi – Gli italiani stavano tutti insieme e questo causava le proteste dei belgi che li giudicavano troppo rumorosi». Sorsero stereotipi anti-italiani che riguardavano anche i trentini: «Personalmente non ho mai ricevuto epiteti razzisti, – assicura Filippi – Non mi hanno mai dato del “maccarone”, ma è qualcosa che ad altri è capitato». 

1996. Inaugurazione della sede del circolo di Charleroi

MARCINELLE ED EUROPA, TRAGEDIA E SPERANZA

L’8 agosto 1956 avvenne il disastro di Marcinelle: in seguito all’incendio della locale miniera di carbone, morirono 262 persone, di cui 132 italiani. Avrebbe potuto essere la scossa per migliorare le condizioni di lavoro nell’industria belga, ma rinnovare per intero un sistema industriale richiede tempo: «Dopo Marcinelle le cose sono cambiate molto lentamente, – commenta Filippi – Iniziarono ad arrivare altre maestranze, marocchini, turchi, polacchi. Oggi a Marcinelle c’è un memoriale e la Campana degli orfani di Marcinelle è gemellata con la Campana della Pace di Rovereto. Suonano insieme l’8 agosto 262 rintocchi, uno per ciascuna vittima. A cambiare veramente le condizioni di lavoro fu l’avvio dell’unificazione europea». Nel 1951 le nazioni dell’Europa occidentale avevano formato la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), embrione di quella che sarebbe diventata la Comunità economica europea (Cee) e poi l’Unione europea. La Ceca creò un mercato unico dell’acciaio e del carbone che ridusse sensibilmente le partenze dall’Italia verso il Belgio: «L’istituzione della Ceca portò ad un sensibile miglioramento delle condizioni di lavoro – conferma Filippi – I trentini iniziarono a guadagnare meglio, ci si comprava la Fiat 500». 

Filippo Nardon presenta il Coro Valsella a Liegi (ph. Giacomo Bianchi)

UN PRESENTE DI INTEGRAZIONE

Passati i decenni, i trentini ed i loro discendenti si sono totalmente integrati nella società belga al punto che per il circolo non è scontato trovare energie giovani: «I più giovani fanno associazionismo direttamente nelle associazioni belghe – lamenta Filippi – E questo è un peccato, si fa fatica a trovare nuovi aderenti e l’età media dei nostri tesserati è ormai elevata». Oltre ad organizzare un calendario di eventi e favorire il turismo verso il Trentino, il circolo di Charleroi produce anche una rivista che tiene aggiornati i suoi iscritti: «Dal 1981 esce il trimestrale “3nt” che inviamo nelle case per segnalare le nostre iniziative e mantenere un legame – racconta Filippi – Questo è stato particolarmente prezioso durante la quarantena, quando non ci si poteva incontrare». Filippi segnala una preoccupante rottura tra il Trentino e il suo passato di migrazioni: «Siamo soddisfatti dell’operato di Trentini nel Mondo, è un fiore all’occhiello della nostra Provincia. Ma oggi i trentini non si rendono conto delle difficoltà del passato, si sono dimenticati del dramma delle emigrazioni, perché mediamente in Trentino si sta bene. Eppure, nonostante questa relativa prosperità, è diventato sempre più difficile trovare trenta o quaranta famiglie disponibili ad ospitare per qualche giorno i membri del nostro coro quando viene a far visita al Trentino. Il Trentino oggi è un paradiso ma è venuta meno la spontaneità. Insomma, il mondo cambia».

Castagnata del Circolo di Liegi
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Pubblicato da Fabio Peterlongo

Nato nel 1987, dal 2012 è giornalista pubblicista. Nel 2013 si laurea in Filosofia all'Università di Trento con una tesi sull'ecologismo sociale americano. Oltre alla scrittura giornalistica, la sua grande passione è la scrittura narrativa. È conduttore radiofonico e dal 2014 fa parte della squadra di Radio Dolomiti. Cronista per il quotidiano Trentino dal 2016, collabora con Trentinomese dal 2017 Nutre particolare interesse verso il giornalismo politico e i temi della sostenibilità ambientale. Appassionato lettore di saggi storici sul Risorgimento e delle opere di Italo Calvino.