Ottobre è il mese che l’Organizzazione Mondiale della Sanità dedica alla prevenzione del tumore al seno. Anche in Trentino si sono tenute numerose iniziative che hanno coinvolto centinaia di pazienti, medici, familiari e “compagni di strada”, volontari delle associazioni. Una di queste è Lotus. Oltre il tumore al seno. Ne abbiamo parlato con la presidente Chiara De Pol, ideatrice dei Trekking Rosa, iniziativa che ha coinvolto, nei suoi cinque anni di vita, moltissime persone, fra cui diversi medici che hanno accolto di buon grado l’invito a camminare sui sentieri del Trentino per informare, prevenire, curare. Anche con le parole.
Può raccontarci innanzitutto la sua storia? Sappiamo che non è facile.
Tutto inizia nel 2018, a Berlino, dove mi trovavo per lavoro. Sto facendo la doccia, e sento qualcosa sul seno destro che non avevo mai sentito prima. Avevo 33 anni, facevo palestra, ero seguita da un nutrizionista, insomma, ero in piena forma. Comunque, mando una mail al medico. Mi risponde: facciamo un’ecografia. Qualche settimana dopo sono al reparto di Senologia di Trento, il medico continua a passare e ripassare con l’ecografo sullo stesso punto, e pronuncia queste parole: vedo qualcosa che non mi quadra. Va bene, dico io, quando posso tornare? E lui: no, ti fermi adesso.
E lei come ha reagito?
Non posso, ho detto, ho una riunione. Perché è così, siamo legati alla nostra vita normale, non accettiamo subito che qualcosa di così estraneo faccia irruzione e sconvolga tutto. Comunque rimango, faccio la mammografia, si vede una massa a forma di stella. Passiamo alla biopsia. Per avere il referto passano 10-15 giorni. I più lunghi della mia vita. Per forma mentis sono una persona organizzata. Comincio a pensare: e se fosse? Come lo direi a mia madre? Ho fatto tutto quello che dovevo fare? Cosa non posso lasciare indietro? Il tempo diventa all’improvviso la dimensione fondamentale. Tempo dedicato all’attesa, tempo che potresti non avere più. Tant’è che poi me lo sono tatuato, su un avambraccio “Tempo”, sull’altro “Vita”. Intanto i giorni passano, anche sul lavoro non riesco a stare ferma. Cerco di impegnarmi più di prima. Bici, montagna, amici. Poi arriva l’esito: tumore maligno.
Ne ha parlato con altre persone?
Sì, con i familiari, con alcuni amici. La reazione generale è quasi sempre di incredulità. Sei giovane, sei sana. Non può succedere, non a te. A questo punto la parola va ai medici, che si riuniscono attorno a un tavolo e decidono cosa fare. Avevo paura della chemioterapia, per l’impatto che ha sul paziente, con perdita dei capelli, delle unghie. Di nuovo, l’attesa, il tempo immobile, mentre sull’altro lato della vita pensi che devi velocizzare, e quindi continui a darti da fare, fra l’altro in quel periodo andavo avanti e indietro da Milano per un master…
Alla fine cosa ha deciso l’equipe medica?
Il responso è stato: operazione, più radioterapia e terapia ormonale. Per fortuna non chemio. L’operazione è andata bene, il tumore è stato asportato, non c’erano metastasi. Poi la radioterapia: tutti i giorni avanti e indietro dall’ospedale Santa Chiara, per un mese, dentro una macchina che ti irradia, ustionante, nel caldo torrido dell’estate. Almeno ho diritto al parcheggio, mi dicevo. Quindi la terapia ormonale, perché il mio tipo di cancro era stato classificato Hormon-Responsive, cioè dovuto ad una produzione in eccesso di ormoni femminili. Perciò, bisognava abbassare i livelli di questi ormoni. I farmaci in quel caso producono una menopausa oncologica, per fortuna reversibile. Fare figli non è più possibile, anche se, come dirò dopo, una soluzione c’è. Il tuo organismo entra in letargo, e poi è come se iniziassi a invecchiare. Camminare ti fa male. Hai le vampate, in ufficio in pieno inverno sentivo caldo, i colleghi mi guardavano stupiti quando chiedevo di aprire la finestra. Anche la vita familiare entra in crisi irreversibile.
Quanto è durata la terapia?
Cinque anni. È terminata nell’aprile di quest’anno. Una puntura al mese e un farmaco quotidiano. Un giorno stavo guardando in tv una puntata de “Le Iene” e dicevano che in Germania per alcuni sex-abuser è prevista la famosa castrazione chimica, con la somministrazione dello stesso farmaco che prendevo io. Lascio immaginare come si possa sentire un paziente oncologico nel rendersi conto di questa cosa.
C’è quindi un risvolto pesantissimo sul piano psicologico. Come se ne esce?
Ad un certo punto mi è scattata qualcosa, come credo succeda a tante pazienti. Mi sono detta: devi farti portavoce anche delle altre che sono nelle tue stesse condizioni, impegnarti per la prevenzione. Nel 2019 ho avuto l’idea dei Trekking Rosa, poi condivisa con l’associazione Donne di Montagna. La scommessa era di camminare sulle nostre montagne, attività che piace più o meno a tutti, in Trentino, assieme ad un medico, anche per abbattere quell’aura di austerità che di solito circonda la sua figura. In seguito mi sono ritrovata assieme ad alcune donne coraggiose, e abbiamo fondato l’associazione Lotus. Le fondatrici sono state, oltre a me, Luisa Antoniolli, Monica Baggia, Laura Ravanelli, Rosa Maimone, Donatella Cintura, Iole Caola, Il primo trekking lo abbiamo organizzato in Val di Non, al lago Smeraldo. E poi ovunque in Trentino, 8-10 trekking all’anno.
I medici vi hanno seguite?
Eccome. Si è creato un clima nuovo, bellissimo. Quando si raggiungeva una meta, un rifugio, una baita, una cima, ci si sedeva e si iniziava a parlare, di volta in volta sui temi di più stretta competenza dello specialista coinvolto. Le barriere che a volte ci sono fra le mura dell’ospedale cadevano. Si parlava più liberamente, ci si confidava, si esprimevano pareri che erano importanti non solo per le pazienti e ex-pazienti ma anche per il medico. Fino ad oggi avranno partecipato a queste escursioni forse 2000 persone.
Prima accennava a delle soluzioni ai problemi posti dalle terapie. Di che cosa si tratta?
Questo è un aspetto importante e non sempre così conosciuto. Ad esempio, per il problema della maternità, si può accedere alla crioconservazione degli ovuli. Anche in Trentino c’è un progetto di questo tipo. Gli ovuli della paziente, che, come ho detto, dopo l’inizio della terapia ormonale, non può avere figli, vengono prelevati e crioconservati, e in un secondo tempo è facoltà dell’interessata decidere che cosa fare, se procedere alla fecondazione o anche se metterli a disposizione. Il tutto seguito da vicino ovviamente dal Centro provinciale per la Procreazione Medicalmente Assistita-PMA di Arco e dal medico oncologo che ha in cura la paziente È uno strumento in più per affrontare il percorso. Ma ci sono anche altri aspetti, ad esempio estetici, che hanno un impatto fortissimo sulla tenuta psicologica della donna. Chi perde i capelli ha diritto a una parrucca, chi perde le unghie può farle ricostruire.
In caso di operazione si può contare su una ricostruzione gratuita del seno.
Tutto questo rientra nelle iniziative che organizzate: oltre ai trekking, conferenze, incontri, e anche altro, come abbiamo visto lo scorso ottobre.
Sì, quest’anno è stato un ottobre pieno di iniziative, siamo ancora molto cariche per l’interesse, l’affetto dimostrato da tante persone, donne e uomini. Abbiamo organizzato un ciclo di conferenze, “I giovedì di Lotus”, in cui abbiamo parlato di tutto: come conciliare lavoro e tumore, in particolare con il lavoro agile, come affrontare gli aspetti psicologici della cura, e poi i temi della fertilità e della ricostruzione mammaria, di cui dicevo prima, con gli esperti dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, con la Fondazione Demarchi, il Consigliere di Parità, e altri ospiti anche esterni al Trentino. Il mondo dell’arte partecipa a sua volta. All’epoca del lockdown ero stata chiamata, attraverso la dottoressa Antonella Ferro, specialista in Oncologia Medica, da Andrea Brunello, della compagnia Arditodesìo, che voleva fare uno spettacolo teatrale sul tema. Sul momento la mia reazione era stata: sarà pallosissimo. Ma lui ha insistito, così gli ho raccontato la mia storia e poi gli ho detto di sentire anche altre donne. Lo ha fatto, ha scritto un copione, che coniugava aspetti drammaturgici e divulgazione scientifica, interpretato da Giulia Toniutti, che è perfetta per quel ruolo. Il risultato è stato “Se.No”, che è stato messo in scena per la prima volta in Val di Sole, durante un trekking, letteralmente in mezzo alle vacche, e che è piaciuto moltissimo. Lo scorso ottobre è andato in scena al teatro di Zambana. Ma abbiamo avuto anche i fiati dell’orchestra Haydn alla Filarmonica di Trento, per un concerto a supporto della Brest Unit del Santa Chiara.
So che è inappropriato dirlo perché qui si sta parlando di sofferenze, ma il vostro mi sembra un bel cammino. E quello della sanità trentina?
Penso rispecchi quello che avviene anche nel resto d’Italia. Io mi sono ammalata prima del Covid. Il mio percorso di cura è stato coerente e rapido. Mi sembra però che la pandemia abbia avuto un forte impatto su tutta la sanità, quindi anche in questo campo, in ambiti che vanno dalle tempistiche alla disponibilità di personale medico. Noi cerchiamo di fare la nostra parte, quindi di informare, fare prevenzione, dare supporto anche con la nostra sola presenza. La cosa bella è che tanti specialisti ci sostengono. L’importante è questo: non essere sole.