Via Paolo Fabbri 43 era l’indirizzo dell’appartamento di Francesco Guccini a Bologna. Divenne il titolo del suo settimo album di studio e una meta di pellegrinaggio per i giovani di tutta Italia, compreso ovviamente il sottoscritto. La scelta era coraggiosa e dimostrava un certo understatement nei confronti della fama: in fondo quella casetta vicino all’osteria da Vito non era una villa guardata a vista dalle telecamere, chiunque poteva arrivare lì e suonare. Erano altri tempi.
Il disco fotografa la maturità del cantautore di Pavana, che aveva già raggiunto il successo con le canzoni incise dai Nomadi e poi con i suoi dischi solisti, soprattutto “Radici”. Le canzoni sono solo 6, molto lunghe, tutte molto belle.
Si parte con “Piccola storia ignobile”, un brano sull’aborto, in cui il cantautore mette alla berlina l’ipocrisia della società italiana di allora (forse non molto diversa da quella attuale). “Canzone di notte n.2” è notturna, sa di osterie e di gioiosa anarchia. “L’avvelenata” è la canzone delle parolacce: stronzo, frocio e quant’altro. In realtà rappresenta un manifesto del Guccini cantautore e uomo, che rivendica la sua libertà e il suo diritto di essere contraddittorio: ricco, senza soldi, ubriacone, poeta, buffone, negro, ebreo, fascista, comunista… “Via Paolo Fabbri 43” è uno scanzonato blues urbano in cui ritornano le strade di Bologna ma anche i riti, i miti e le marche dell’epoca, dalle Kawasaki a Snoopy & Linus, alle Clarks, passando per Descartes e Roland Barthes. Le ultime due canzoni mostrano invece l’altra faccia di Guccini, quella dolorosa, esistenzialista. “Canzone quasi d’amore” è “il vuoto che al solito ho di dentro”, e dice della fatica di vivere, e di scrivere, mentre “Il pensionato” è il ritratto malinconico di un vicino di casa, un uomo al tramonto, a cui però il cantautore si sente accomunato dalla solitudine.
Questo disco è qualcosa di più di un disco. Si potrebbe infilarlo sullo scaffale della biblioteca, accanto ai libri di Pavese e di Cassola, forse persino di Eco, il grande del Dams bolognese. Nel 1976 risultò il sesto fra i più venduti in Italia (al primo posto c’era “Wish You Were Here”, dei Pink Floyd).