Cisgiordania: il teatro della nostra indifferenza

Mentre ce ne stiamo davanti ad una tavola ben imbandita, isolati in asettiche e ben arredate stanze di città europee, dove spesso il rumore della vita quotidiana sembra solo un lontano e indistinto brusio, si sta consumando un dramma la cui dimensione è quasi impossibile da misurare. Nella Cisgiordania, sotto il peso implacabile delle incursioni israeliane, le condizioni di vita sono diventate così terribili che una tregua di tre giorni è stata concessa solo per permettere la vaccinazione di 600.000 bambini contro la poliomielite. Una malattia riaffacciatasi come un sordido ricordo di tempi passati, dovuta alle condizioni igieniche disperate che la guerra ha imposto. Ma chi ne parla?

L’orrore che si dipana in quelle terre è così vasto da sembrare inimmaginabile. Eppure, mentre il fuoco della devastazione brucia incessante, la maggior parte dei media europei si dimostra straordinariamente indifferente. Si potrebbe pensare che il caos di Gaza e Jenin sia solo un’eco lontana di eventi che non meritano il nostro sguardo. Le cronache, schiave di una narrazione che si piega a interessi più grandi, non riescono a dare voce ai palestinesi, a raccontare la loro parte di verità. Al contrario, ci viene presentata una versione dei fatti che si adatta perfettamente ai diktat della politica internazionale e delle comunità ebraiche.

Ogni notizia è filtrata attraverso una lente che si distorce in eufemismi: “autodifesa” per mascherare le violenze, “conflitto” per nascondere il disastro umanitario. La parola “genocidio” è sparita dal vocabolario, sostituita da espressioni più accettabili che riducono il tutto a questioni di sicurezza e geopolitica. Il linguaggio stesso diventa complice di una violenza che non trova parola per essere raccontata, un processo di normalizzazione che fa sembrare l’orrore come una mera necessità.

Il silenzio dell’Italia e degli altri governi occidentali su questi temi è assordante. Gli stessi governi che si dichiarano avversari della guerra e dei totalitarismi, che ergono le bandiere della democrazia e dei diritti umani, si mostrano incredibilmente muti di fronte a un massacro in corso. Questa dissonanza tra dichiarazioni di principio e azioni concrete permette a Israele di proseguire senza ostacoli, senza rimpianti, come se la legittimità internazionale fosse un concetto in sospeso.

Quello che accade oggi in Cisgiordania e Gaza riecheggia in un certo senso gli spettri delle conquiste coloniali del passato. In quella violenza sistematica, nella manipolazione della verità, si possono vedere i riflessi delle giustificazioni usate per legittimare l’imposizione della “civiltà” occidentale su terre lontane. La lotta per il potere e il dominio, avvolta in parole di progresso e salvezza, sembra essere un ciclo che si ripete.

Nel mentre, una profezia inquietante di un recente passato torna alla mente: i barbari, come predetto ad esempio da Alessandro Baricco diversi anni fa, non sono più figure lontane, ma ombre che si allungano sotto il nostro stesso cielo. Se la nostra epoca dovesse raccontare una storia, sarebbe quella di come l’indifferenza e il silenzio hanno permesso ai barbari di avanzare. La Cisgiordania è il teatro della nostra indifferenza, il palcoscenico dove la nostra cecità diventa complicità.

E allora ci dobbiamo chiedere: chi sono veramente i barbari di oggi? Chi sono coloro che, con il loro silenzio e la loro rassegnazione, permettono la continuazione di questo dramma? Forse, la risposta non è così astrusa come troppo spesso ci fa comodo pensare.

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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.