Claudio Giunta. Nell’assedio del presente

La rivoluzione culturale in corso, nello spazio di un paio di generazioni, ha fatto dei media il principale veicolo dell’istruzione, al posto della famiglia e della scuola. Oltre che di questo, Claudio Giunta, docente di Letteratura italiana all’Università di Trento, ci parla di Dante, Tommaso Labranca, Fabio Fazio, Matteo Renzi e dell’insegnamento

Il prof. Claudio Giunta, Professore ordinario, Dipartimento di Lettere e Filosofia. Settore scientifico disciplinare:
@ 2019 Unitn – Paolo CHistè

Professor Giunta, quando nasce la sua passione per la letteratura?

Molto presto, quand’ero bambino. Direi che è nata soprattutto come reazione a un ambiente in cui non c’erano libri e io dovevo cercare una strada che fosse diversa da quella dei nonni, degli zii, dei genitori.

Sente invece di avere una vocazione per l’insegnamento? O è stato un incidente di percorso?

No, non lo definirei un incidente di percorso. Ma prima di tutto è un mezzo, una fonte di reddito che mi permette di vivere dignitosamente e insieme di fare le cose che mi piacciono, cioè leggere e scrivere. Poi certo c’è la voglia e la capacità di insegnare le cose, che credo di possedere; ma ho avuto maestri, e ho colleghi, che hanno una vocazione più spiccata della mia, persone che avevano o hanno una vera passione per l’insegnamento, che amavano molto gli studenti, che erano infinitamente disponibili. Io non arrivo a tanto, per me si tratta di una professione non di una missione; ne farei un’altra (spero) con la stessa serietà.

Da molti anni insegna a Trento. Si sente ancora uno “straniero”, da noi? 

Ho amici che vivono a Trento e ho affetto e stima per questa provincia, però non vivo qui: la mia vita vera scorre tra Toscana e Piemonte. No, non posso dire di sentirmi trentino: è una regione che ha mille virtù, e un popolo laborioso, serio, affidabile, nel mare di pressapochismo che è l’Italia; ma ‘accogliente’ non è il primo aggettivo che viene in mente quando si pensa a Trento e ai trentini. Ciò detto, sono felicissimo di lavorarci, di lavorare in un ambiente popolato da persone serie e responsabili.

Lei ha pubblicato nel 2020 “Le alternative non esistono. La vita e le opere di Tommaso Labranca”. Perché scrivere un libro proprio su questo autore, qualche anno dopo la sua scomparsa?

Perché è uno scrittore che ho letto e amato molto quand’ero studente. Mi è servito a mettere in discussione alcune cose che credevo vere a priori, inattaccabili, non soggette a critica: mi ha fatto sorridere di alcune rigidità accademiche e insieme mi ha fatto apprezzare opere e modi pop, che la cultura accademica da cui provenivo trattava con disprezzo. Mi ha aiutato a ridere delle cose serie e a prendere sul serio le cose leggere. È poi  un autore che ha avuto una traiettoria di vita interessante: l’enorme successo negli anni Novanta, il genio travasato in molti libri, gli errori del provinciale, la fine molto triste… Inoltre aveva una visione di vita simile alla mia. Più triste della mia, in realtà: ma ha detto delle cose che considero profondamente vere. In più, credo sia una lettura fondamentale per capire l’Italia degli ultimi trent’anni.

Un libro da cui partire per iniziare a leggere Labranca?

“Chaltron Hescon” e soprattutto “Neoproletariato”.

Le alternative non esistono è una frase della Thatcher. Lei la spiega, parlando di Labranca, affermando che chi scrive per mestiere, oggi, non ha vere alternative al mercato. Lei però, insegnando, un’alternativa ce l’ha. Come motiva quindi il suo impegno a scrivere, per esempio, di scuola? 

Per quanto riguarda la scuola e l’università, sono il mio mestiere. Sono abituato a riflettere sul mio mestiere, e riflettere ad alta voce vuol dire scrivere. Dato che alcuni giornali mi chiedono poi di pubblicare articoli e gli editori mi chiedono di pubblicare libri, pagandomi, ecco che decido di ‘mettere in forma’ le mie idee e di dar loro la forma dell’articolo o del libro. Scrivo quindi per riflettere sul mio lavoro, e pubblico principalmente perché mi pagano, e un po’ anche per il gusto di avere un piccolo pubblico interessato e competente. Il mio ideale di vita rimane comunque quello intellettuale, di studio e lettura, e la vita intellettuale si fa per lo più da soli (il che non vuol dire essere musoni, o asociali – al contrario).

In questi anni ha scritto un libro su Renzi, uno su Labranca, uno sull’educazione civica a scuola, e anche un paio di lunghi articoli sul comico Alessandro Gori. Ha intenzione di mantenere anche nei prossimi anni parallelo il suo studio sulla poesia medievale al suo lavoro su temi più attuali, più vicini al dibattito pubblico?

In effetti è un po’ strano insegnare letteratura del Trecento e proporsi contemporaneamente agli editori per libri su argomenti contemporanei. Però è anche vero che se scrivo un libro su Matteo Renzi l’editore è più contento rispetto a quando gli propongo un saggio sulla poesia del Medioevo. Comunque sì, la mia idea, la mia intenzione sarebbe quella di procedere anche in futuro seguendo i due filoni, scrivendo di letteratura medievale e anche di Novecento, e di cultura pop.

Ha rifiutato però la carriera di opinionista…

Sì. Credo si debba evitare, quando si insegna all’università, di parlare di cose che non si conoscono, così come bisogna evitare la sovraesposizione, che fa diventare frettolosi e vanesi. Fare l’opinionista significa avere un contratto con un giornale che può decidere cosa devi scrivere. È giusto che uno scrittore come, poniamo, Francesco Piccolo, che non ha altre fonti di guadagno fisso, a parte i diritti d’autore, abbia un contratto con Repubblica, e che se domani Repubblica gli chiede di parlare di Putin lui scriva un articolo su Putin; io ho già uno stipendio, ho il dovere di parlare di quello che so, di non dire sciocchezze. L’ambiente culturale in cui sono cresciuto, trent’anni fa, era ancora abbastanza fedele a questo principio – parlare (poco) delle cose che si conoscono, e sulle altre tacere. Mi sembra ancora un giusto modo di vivere la propria vita intellettuale.

Passando alla scuola, per la quale di recente ha scritto molto, pensa che il problema sia più di qualità o di quantità? Si può cioè fare meglio ciò che sta nei programmi, o semplicemente questo è impossibile, perché si vuole fare troppo?

No, si fanno troppe cose (parlo della scuola superiore, gli altri gradi li conosco poco). Bisognerebbe riformare i programmi di letteratura: fare poco, e meglio. Forse abolire la storia letteraria cosi come la intendiamo, cioè accettare il fatto che sia possibile leggere, studiare, amare la letteratura senza avere un’idea precisa della sua storia. Gli studenti in classe possono leggere libri belli senza per forza sapere se sia nato prima Tasso o Ariosto. Anche i manuali, come quello che ho scritto io, eccedono nell’offerta. L’idea in sé è anche sensata: si propongono tante cose in modo che poi gli insegnanti scelgano, ma spesso gli insegnanti stessi non sono in grado di ritagliare un percorso, il che è comprensibile, perché hanno una cultura limitata ad alcune zone della letteratura, o sono laureati in discipline che non sono la storia della letteratura. Insomma gli si apparecchia una tavola infinita, ma poi loro – ripeto: comprensibilmente, umanamente – ricorrono sempre alle stesse pietanze.

Questo vale anche per l’insegnamento di Dante?

Sì. Secondo me la Commedia non va studiata per canti bensì come un libro che ha un inizio, uno svolgimento e una fine. Il prossimo anno, per Feltrinelli, uscirà appunto un libro che s’intitola La Commedia raccontata – L’Inferno, e il lettore non ci troverà dei canti integrali, ma brani del testo alternati a parti raccontate da me, in uno stile piano ma, spero anche vivace e coinvolgente.

Circa l’educazione alla cittadinanza (da due anni introdotta nel curriculum scolastico con un proprio voto in pagella), lei ha parlato di “catechesi”, per il rischio di cadere in un indottrinamento di valori. Quale alternative vede per questa disciplina?

Be’ intanto l’educazione civica si potrebbe non fare. Nella vita “non fare” è un’opzione da considerare sempre con un certo favore, mi pare. Studiare bene la matematica con un professore capace – o la storia, o la grammatica – non è anche questa educazione civica? Dopodiché, dato che la materia adesso è nei programmi, teniamocela pure. E allora in quelle poche ore si potrebbe proporre una storia dell’Occidente e delle sue istituzioni un po’ meno banale del solito: la costituzione americana, quella francese, lo Statuto albertino… spieghiamo ai ragazzi come è fatto e come funziona lo Stato italiano, con il Parlamento, la Corte Costituzionale… La storia delle costituzioni, la forma dello Stato: nient’altro. Mi pare invece che si spingano gli studenti alla sensibilizzazione, alla mobilitazione, alla lotta dei valori: ma il rischio è appunto quello di crearsi dei feticci (e la Costituzione può essere un feticcio tanto quanto può esserlo la Bibbia), e di promuovere non il cinismo ma il moralismo, il settarismo… Mi pare che stia già succedendo.

In un’epoca come questa in cui i libri affollano le librerie a battaglioni, come consiglierebbe di scegliere un libro a chi non ha i mezzi culturali per farlo? Premi letterari? Riviste specializzate?

In generale consiglierei di studiare, e chiedere consiglio a persone preparate, come i propri professori. Per aggiornarsi, invece, il meglio è saper leggere in inglese. La comunicazione culturale più interessante viaggia in inglese, e se si conosce un po’ questa lingua si può evitare la mediazione di giornali come Repubblica o L’Espresso, o di Fabio Fazio. Poi ci si può fidare di alcune case editrici, come Laterza, o il Mulino, o Adelphi, o di qualche supplemento culturale: sui supplementi del Foglio o del Manifesto non vengono quasi mai pubblicate delle schifezze, ad esempio. Si prova. E va bene anche sbagliare. Da piccolo andavo in biblioteca così, da solo, e prendevo libri completamente a caso. E lentamente sono andato avanti, anche con tanto tempo perso. Poi il liceo mi ha aiutato, cioè mi hanno aiutato sia gli insegnanti sia i libri di testo. Comunque con un collega e amico, Gianluigi Simonetti, qualche anno fa abbiamo messo in rete, nel sito di Internazionale, un articolo dal titolo Questi li avete letti? Libera lettura: si può pescare qualche buon libro da quella lista.  

In un mondo in cui il digitale ha preso il sopravvento, ritiene che ci saranno intellettuali di grande respiro come un tempo? Tutta questa distrazione, data soprattutto da Internet, non precluderà questa possibilità?

Quelli del futuro saranno intellettuali diversi da quelli del passato, è un’ovvietà che forse merita di essere ripetuta, per evitare nostalgie fuori luogo. Per quanto riguarda la formazione degli intellettuali di oggi e di domani, è evidente che oggi la loro dieta è più varia. Pochi disadattati ormai si chiudono in casa a nove anni e cominciano da Tucidide per arrivare a Virginia Woolf. Qualcuno ce n’è, e del resto anch’io sono un intellettuale del genere, ma è evidente che oggi le cose interessanti le scrivono coloro che sanno mettere assieme punti di vista differenti, e quindi che hanno opinioni di cinema, storia, letteratura: mi aspetto che sia questo il modello degli intellettuali di domani (ma mi auguro che continuino ad esserci specialisti di Tucidide, ovviamente). Per quanto mi riguarda, certo, ho nostalgia del Novecento perché ci sono nato, ho nostalgia dell’epoca in cui la letteratura dominava il sistema delle arti, l’epoca in cui, come dice Proust, si entrava in letteratura come si entrava in chiesa. Non è più così, ma quelli di oggi sono comunque tempi interessanti, anche se forse più difficili, meno appaganti per un intellettuale che ha ricevuto una formazione tradizionale come me.

Domande fisse

Il libro che sta leggendo? Una biografia di Philip Larkin.
Il suo numero preferito? Nessuno.
Il suo colore preferito? Blu.
Il piatto che ama di più? Pizza e Coca Cola.
Il film del cuore? Il vedovo di Dino Risi.
La squadra di calcio che tifa? Juventus.
L’automobile preferita? Nessuna.
Il viaggio che non è ancora riuscito a fare? Armenia, Stati Uniti del Sud, la diga in costruzione al confine tra Sudan ed Etiopia.
Ha animali domestici? No.
Cantante, compositore o gruppo preferito? Tra i recenti, in Italia, i Baustelle, altrimenti i Beatles.
Se non avesse fatto quello che ha fatto, cosa avrebbe voluto fare? Nient’altro. Non ho mai sentito di avere alternative.
La cosa che le fa più paura? La morte delle persone che amo.
Il difetto che negli altri le fa più paura? Il fanatismo.

CLAUDIO GIUNTA UNITN / FOTO DI ALESSIO COSER

Biografia

Claudio Giunta (Torino, 1971) è un saggistascrittorefilologo e storico della letteratura. È professore ordinario di Letteratura italiana all’Università di Trento. Ha esordito nel 2015 nella narrativa (Mar Bianco, Mondadori) e attualmente collabora con Il Post, Il Sole 24 Ore e Il Foglio. I suoi ultimi libri sono E se non fosse la buona battaglia? Sul futuro dell’istruzione umanistica (2017),Come non scrivere (2018),  Le alternative non esistono. La vita e le opere di Tommaso Labranca(2020) e “Ma se io volessi diventare una fascista intelligente?” L’educazione civica, la scuola, l’Italia (2021). Nel 2016 ha pubblicato per Garzanti Scuola Cuori Intelligenti, un manuale di letteratura italiana per il triennio delle scuole superiori, e nel 2019 un’antologia per il biennio dal titolo Lettere al futuro.

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Pubblicato da Alessandro Zanoner

Nato a Trento nel 1993, insegnante di italiano, latino e storia nelle scuole superiori. Suonatore di strada con umili tentativi da cantautore e scrittore. Amo la montagna e il Mar Tirreno e passo molto tempo a viaggiare, soprattutto in centro Italia; non sono ancora mai uscito dal Vecchio Continente. Cesare Pavese e Hermann Hesse le mie guide in narrativa. Per la musica De Gregori, Guccini e Vinicio Capossela.