Come cambia la “vecchiaia”

La vecchiaia sempre più lunga delle società opulente, ci pone davanti a nuove sfide. Per esempio, che senso ha andare in pensione, con la prospettiva di rimanerci per tanti anni quanti se ne sono lavorati?

Come immaginarsi gli ultimi 40 anni della propria vita? 

Il declino fisico è davvero inevitabile? Facciamo due calcoli: passiamo 13 anni nell’infanzia, 20 anni nella giovinezza, 30 anni nella vita adulta e oggi almeno una ventina anche nella vecchiaia, se non di più. In poche parole, rimaniamo tanto tempo vecchi quanto siamo stati giovani. In più, la vecchiaia di oggi ha caratteristiche che sono un’innovazione assoluta per la nostra specie. I dati raccolti dal Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali hanno evidenziato, per esempio, come la maggior parte degli over 65 viva in case di proprietà dai grandi spazi, non avesse mutui bancari, fosse assidua consumatrice di domotica, utilizzasse dispositivi elettronici, leggesse molto, amasse l’offerta culturale dei centri urbani, viaggiasse, soprattutto durante le basse stagioni. La spesa e i consumi di questa categoria di persone, ci dice il report, genera oggi il 20% del PIL italiano: un numero destinato a crescere, proporzionalmente alla crescita della popolazione anziana in aumento nei prossimi anni. Ma non è tutto. La vecchiaia è sempre più un tempo altrettanto degno di essere vissuto quanto lo sono tutti gli altri, soprattutto perché non è caratterizzato da una cesura rispetto a un “prima”.  Non è un tempo “altro”. In passato la vecchiaia, specie quando associata a uno stato di inattività lavorativa, era stata spinta ai margini della società, con la tipica rappresentazione degli anziani davanti a un cantiere e donne sedute davanti al televisore mentre ricamano. Ma la verità è che la vecchiaia ha molte più possibilità nel presente di “fondersi” con gli altri tempi di vita, diventando un continuum coerente con ciò che si è stati, ciò che si è e anche ciò che si vuole ancora essere. La tecnologia certamente gioca in questo senso un ruolo cruciale, anche se è riduttivo pensare che sia solo una questione di mezzi a disposizione. Fino a qualche decennio fa, i percorsi di vita delle persone sembravano socialmente prestabiliti (o almeno erano socialmente rappresentati) come divisi in comparti anagrafici stagni in cui all’infanzia sarebbe seguita la giovinezza, poi l’età adulta e infine l’anzianità: un tempo (mediamente breve) di riposo prima, ahimè, di quello eterno. Oggi la vecchiaia non è l’anticamera della morte, bensì un tempo di vita diverso, in cui non solo il cervello può continuare a imparare a fare cose, ma anche il desiderio di essere attivi a livello sociale, di avere relazioni sentimentali, di viaggiare e fare esperienze rimane.

Non si può parlare di vecchiaia come un unico tempo uguale per tutti, considerando che la quantificazione del tempo di vita vissuta non ci dice nulla rispetto alla qualità di tempo vissuto, dunque a come si invecchia.

L’invecchiamento è insomma una questione fisica, di forza di gravità, ma è anche e soprattutto una questione personale. Nessuno invecchia alla stessa velocità, anche se tutti lo fanno. Per molti però la vecchiaia è paradossalmente, l’età in cui si ha più tempo. Sappiamo che è proprio il tempo, oggi, il bene più prezioso. La terza età è oggi l’età della ricchezza, sia di tempo, sia di denaro.

Lo ha capito bene anche il mercato… 

Condividi l'articolo su:
Avatar photo

Pubblicato da Sara Hejazi

Cittadina italiana e iraniana, ha conseguito un dottorato di ricerca in Antropologia culturale ed Epistemologia della Complessità. Accademica, scrittrice, giornalista, collabora con molte università e fondazioni italiane oltre a scrivere su diverse testate. Ha pubblicato i saggi L’Iran s-velato. Antropologia dell’intreccio tra identità e velo (2008), L’altro islamico. Leggere l’Islam in Occidente (2009) e La fine del sesso? Relazioni e legami nell’era digitale (2017). Il suo ultimo libro è “Il senso della Specie” (Il Margine 2021).