
Da quasi un anno mi sono trasferito dal Trentino all’Umbria, pur facendo frequentemente ritorno a Trento. Così, vivo una condizione che per qualcuno potrà sembrare sgradevole ma che per me invece è piuttosto fortunata: poter vivere in mondi diversi. Credo che in tutti gli esseri umani convivano due bisogni: da in lato avere delle radici piantate da qualche parte, e le radici, come diceva lo scrittore sudtirolese Joseph Zoderer, affondano soprattutto dove ci sono i ricordi d’infanzia; dall’altro essere un po’ “nomadi”, per uscire dal proprio guscio e conoscere qualche altro pezzo di mondo. Anche perché in questo modo, uscendo dalla propria confort zone, si possono scoprire nuove parti di sé.
Ovviamente questo vale per chi si trasferisce per scelta, e non per necessità. Non mi sognerei mai di confondere la mia situazione con quella dei tanti che emigrano perché la loro terra è diventata invivibile, a causa della guerra o della povertà. Essere rifugiati, e tutt’altro paio di maniche. Ma fare volontariamente l’esperienza di vivere “altrove”, sì, ci può stare. Fra l’altro, consente di toccare con mano come, in altre regioni d’Italia venga vista la propria terra di origine, la propria Heimat.
Dalla mia esperienza, il primo dato è inevitabilmente quello turistico. Il Trentino in Umbria è visto come un paradiso, sia d’estate che d’inverno. Certo, a volte gli umbri fanno un po’ di confusione fra Trentino e Alto Adige: “Che meraviglia, il Trentino, il lago di Braies!” non riesco proprio a sentirlo senza che le orecchie mi sanguinino.
In secondo luogo, c’è l’ammirazione. In generale il Trentino è considerato una terra in cui si vive bene, le persone lavorano seriamente, l’ambiente è protetto. L’eccezione è rappresentata dall’orso: se il discorso cade lì (e ci cade spesso) apriti cielo. Un’opinione molto diffusa è che in Trentino si abbattano o si catturino orsi in quantità. Quando provo a spiegare quanto sia difficile fare l’una e l’altra cosa, cadono dalle nuvole. Comunque, nessuno si sognerebbe di disdire una vacanza per paura dei plantigradi. Né tantomeno per boicottare il Trentino per le sue politiche in materia. Ed entrambe le cose mi sembrano ragionevoli.
Grande apprezzamento lo riscuote ovviamente l’enogastronomia. Di nuovo, anche qui, con un po’ di confusione fra canederli, spätzle e così via. Quando voglio fare colpo propongo Mortandela, che tutti pensano sia il modo trentino di chiamare la mortadella (qui scattano sorrisi di condiscendenza), o Ciuiga. Vini e spumanti mettono tutti d’accordo. E l’Autonomia? In verità non se ne parla tanto, cosa che stupisce chi arriva da terre come le nostre, anche perché saremmo nel pieno di un percorso di riforma, che potenzialmente tocca tutte le regioni. In verità non sento mai le persone rivendicare competenze come quelle del Trentino Alto Adige. Sarà che la gestione regionale della sanità ha creato, un po’ in tutta Italia, reazioni discordanti. In Umbria ad esempio in questi giorni si discute di conti e di lasciti delle precedenti legislature. I toni sono polemici e il giudizio rimane aperto. Forse effettivamente l’Italia, l’autonomismo non ce l’ha nel suo dna, per quanto strano a un trentin-altoatesino possa sembrare.