Come siamo diventati stupidi

Comodamente spiaggiati sul divano scrolliamo le immagini sul nostro smartphone, beandoci dei nostri post, gratificati da tutti quei like per la nostra magnifica inquadratura, o per l’album della nostra ultima gita in luoghi idilliaci che, siamo certi, farà “rosicare” tutti i nostri contatti. Che diamine….  dopo aver verificato che tutti, ma proprio tutti, i colleghi sono andati di nuovo all’estero dopo il rientro in ufficio dalle vacanze estive e avevano postato foto da cartolina, dovevamo pur riconquistare un po’ di leadership e recuperare in qualche modo…. O no?

Mentre la dopamina inonda i nostri neuroni, rassicurati dal pensiero che nella stanza accanto nostra figlia sia curva sulle lezioni, rimuoviamo seraficamente il pensiero che iconizzata sotto la lezione del giorno della classroom si nasconda una piccola icona (molto più intrigante) pronta a guadagnare lo schermo appena avremo richiuso la porta dietro la nostra dabbenaggine. 

Già, dabbenaggine, un sostantivo femminile indice di stupidità in uso fino a qualche anno fa, ma che oggi abbiamo più o meno inconsapevolmente deciso che ci si confà, come un nuovo outfit spensierato (senza pensiero appunto), passivamente assorbiti come siamo dai contenuti a noi più graditi che gli algoritmi dei nostri “device” ci sfornano a tamburo battente con rango di verità assolute. 

Come è accaduto?

Ma allora la domanda diventa legittima, oltre che necessaria: siamo davvero diventati stupidi? Ad affermarlo il recente volume del giornalista Armando Massarenti dal titolo emblematico “Come siamo diventati stupidi” (2024 Guerini e Associati ed.). Un titolo e un assunto irricevibile e politicamente scorretto? Assolutamente sì, ma supportato da una profonda e circostanziata analisi sociologica. I campanelli d’allarme però suonavano da tempo tra gli intellettuali, in  una ricca bibliografia che va da Sherry Turkle con “Insieme ma soli” (2012), a Manfred Spitzer con il volume “Demenza digitale” (2013), fino al famosissimo ”Iperconnessi” (2018) di Jean M. Twenge e “La scatola Nera” (2023) l’inchiesta condotta da Riccardo Iacona in onda su  Presa diretta,  il programma della domenica sera di  RAI 3,  e molti altri, compresa la recentissima indagine trentina di Mauro Berti e Serena Valorzi dal titolo “In(e)voluzione Digit@le” (Reverdito Editore).

Da evoluzione a involuzione

Non si tratta di esagerazioni, come potrebbe sembrare, o di teorie accademiche elaborate da odiatori del digitale, Berti e Valorzi nello specifico, sono due professionisti di chiara fama, e su questi temi hanno lavorato sul campo per anni.

Mauro Berti è stato ispettore della Polizia di Stato e responsabile dell’Ufficio Indagini Pedofilia e Cyberbullismo del Centro Operativo di Sicurezza Cibernetica di Trento e docente- formatore esperto sulle tematiche dei pericoli di internet, mentre Serena Valorzi è  Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, individuale e di Coppia e  docente, formatrice esperta in Dipendenze Comportamentali, Narcisismo Patologico, Impatto emotivo, cognitivo relazionale delle Tecnologie di Comunicazione.

I due autori a supporto di questa loro recentissima indagine hanno portato studi e riscontri scientifici con tanto di dati alla mano.

La rilevazione P.I.S.A (Programme for International Student Assestment) l’analisi realizzata con cadenza triennale dall’O.C.S.E. (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo) a partire dall’anno 2000 su 700mila studenti nel mondo e 10mila giovani italiani per un totale di 345 scuole, ha fatto emergere un trend allarmante che  vede un calo di apprendimento a livello mondiale del 25% su quattro scale di processi principali utili per verificare, al termine del percorso scolastico obbligatorio, le conoscenze e le competenze acquisite. Molta parte di questa regressione è da attribuirsi alla pandemia, ma non più di tanto, in quanto la raccolta dei dati è slittata di un anno (2022) proprio a causa del CO-VID-19. L’Italia è allineata con la media O.C.S.E. ma con un forte “gap” tra studenti appartenenti alle classi sociali medio alte e studenti più svantaggiati. A che cosa può esser attribuibile questa caduta verticale del rendimento dell’ultima rilevazione? L’analisi del report afferma che gli studenti che passano al massimo un’ora al giorno su apparecchiature digitali ottengono risultati in matematica di 49 punti maggiori rispetto ai coetanei che li utilizzano per 5-7 ore.

I modelli e le relazioni 

In sostanza stiamo creando generazioni sempre meno allenate alla elaborazione del pensiero e alla vita di relazione, immerse come sono nella realtà virtuale dei loro smartphone. E pensare che l’Homo Sapiens è diventato l’essere più evoluto del pianeta  proprio  grazie alla capacità di relazione, la quale ha messo in moto sempre più complesse modalità di comunicazione condivise, che hanno portato a loro volta nuove, inaspettate forme di pensiero.

Ma i ragazzi crescono attraverso i modelli, come spiega Serena Valorzi nel volume “In(e)voluzione Digit@le” e se nel tempo di interlocuzione con i nostri figli, noi adulti in primis, rispondiamo distrattamente alle loro richieste mentre commentiamo l’ennesimo post, o siamo intenti a rispondere all’ultima e-mail, quale modello trasmetteremo ai nostri figli?

Ecco, dunque, entrare in gioco il fattore responsabilità, verso i nostri ragazzi e ragazze, ma anche verso noi stessi, perché alla fine non facciamo altro che delegare molte funzioni della nostra vita ai nostri “device”, pensiamo appunto alle classroom, alla messaggistica di gruppo, al navigatore satellitare sulla nostra auto. Chi guarda più una cartina stradale per trovare un indirizzo? Perfino in montagna abbiamo le app che ci indicano il sentiero che stiamo cercando.  Regrediamo anche noi al livello dei nostri adolescenti risucchiati nel vortice della velocità dei nostri strumenti digitali, senza più pensare a nulla, fanno tutto loro: comunicano per noi, ci informano, ci guidano, orientano le nostre scelte. Vediamo soltanto ciò che rientra nel nostro microcosmo amicale, parentale, o politico, la partecipazione non ha più un valore (salvo eccezioni che comunque si mobilitano e manifestano, ma spesso più sull’onda della emotività, che di una vera conoscenza dei fatti e dei luoghi). Gli scenari internazionali, il dramma di intere popolazioni dilaniate dai bombardamenti, il pericolo di una escalation atomica, diventano quasi un rumore di fondo, siamo sempre più rassegnati ed assuefatti.

L’apocalisse tecnologica

E a proposito di guerre ed emergenze forse non ci rendiamo conto che tutto potrebbe crashare in un battibaleno, un’incursione, un riarmo, una crisi energetica et voilà: l’apocalisse tecnologica è servita. A quel punto che cosa sapremmo fare senza più nessun ausilio tecnologico? Andare in auto da A a B senza navigatore? Ricordare il numero di telefono di un famigliare, un amico, un ospedale, un ufficio, senza più i contatti del cellulare?  Scrivere a mano una lettera senza stafalcioni? Saremmo ancora in grado senza il correttore automatico del pc?

Potrebbe sembrare paradossale, ma qualcuno sa perfettamente come la mente cresce scrivendo e leggendo su carta, come l’insegnamento nelle scuole sia più efficace se fatto in modo tradizionale, studiando sui libri e non sui tablet e, udite udite, sono proprio i titolari e i manager dei grandi player della Silicon Valley.

Sono infatti gli stessi sviluppatori di Google, Windows, dei Social Network che noi utilizziamo ogni giorno, a limitare al massimo l’utilizzo di internet ai propri ragazzi, non solo, la loro opzione educativa cade quasi sempre su scuole dove la tecnologia è bandita.

Un progressivo “ritorno al futuro”? 

L’aggiornatissimo saggio di Berti e Valorzi riferisce di un esperimento, realizzato nel 2016 proprio negli States e precisamente all’Accademia Militare di West Port. In questa comparazione per un intero semestre sono state impartite 50 lezioni a classi di 15 allievi ciascuna, alcune classi con computer e tablet, altre con soltanto il tablet ed altre ancora senza nulla. All’esame di fine anno è stato fatto un confronto tra i tre gruppi, innanzi tutto non si si sono verificati casi di emarginazione (digitale divide), ma il dato più rilevante è stato che i gruppi che non avevano utilizzato alcuno strumento digitale avevano imparato il 20% in più degli altri due gruppi.

È notizia recente che nelle scuole svedesi si sta riducendo la digitalizzazione in classe a favore della scrittura manuale che avrebbe un impatto positivo sull’apprendimento e sulla memoria in quanto essa attiva specifiche aree motorie linguistiche del cervello, migliorerebbe la concentrazione e renderebbe l’apprendimento linguistico più efficace.

In conclusione, se le nuove generazioni avranno meno capacità cognitive e di elaborazione del pensiero sia linguistico, che matematico e filosofico, come faranno a governare un’innovazione potente e insidiosa come l’intelligenza artificiale? Perché non vi è alcun dubbio che andrà gestita e regolamentata.

L’alternativa, inquietante, ma a conti fatti sempre più realistica, è che sarà lei a governare noi.

Scommettiamo sul futuro dei nostri figli

Serena Valorzi e Mauro Berti avvertono: è tempo di riconnettersi, investire nella crescita personale e familiare, e combattere l’attrazione insidiosa degli schermi, prima che sia troppo tardi

“Bisogna decidere di non perdere le capacità che abbiamo appreso nella prima infanzia, ad iniziare dalle scuole elementari”. 

La voce della psicologa è netta, Serena Valorzi stigmatizza questa precisa volontà di fare scelte ragionate e non istintive.

“Pur avendo a disposizione il massimo della tecnologia digitale dobbiamo sentire la responsabilità verso noi stessi in primis, ma anche verso coloro che ci stanno intorno, nell’utilizzare i nostri device come strumenti per migliorare la nostra vita, non per rinchiuderla in una gabbia. Se alleniamo il nostro corpo perché resti in forma e risponda alle nostre esigenze, lo stesso dobbiamo fare con la mente”.

Quindi il vostro libro è inteso come una sorta di istruzioni per l’uso?

Volevamo che i nostri lettori avessero la possibilità di scegliere in quale direzione andare, ponendo l’attenzione a mettere sempre il nostro equilibrio psico fisico al primo posto. Poi è chiaro che sarà difficile che questo nostro messaggio in bottiglia arrivi a tutti i gruppi del genere umano, ma era importante far capire che non è acquistando l’ultimo costosissimo modello di cellulare ai propri figli che si dimostrerà il nostro amore per loro, ma piuttosto investendo nella loro carriera scolastica, con delle lezioni private se servono, o accumulando dei risparmi per una istruzione di qualità. Inoltre, dobbiamo guardare negli occhi i nostri figli ed anche noi adulti tra genitori, tra coppie, non lo facciamo più, mentre dobbiamo richiedere attenzione e ascolto, non riconosciamo più il valore e l’importanza di questi gesti. Gli schermi risucchiano e spesso non ci rendiamo conto che stanno risucchiando le nostre vite.

Mauro Berti è consapevole delle difficoltà di veicolare un “alert” che mette in discussione il ruolo e i comportamenti dei genitori.

Mi sta dicendo che avete scritto un libro scomodo?

Abbiamo gettato un sasso nello stagno, ma che darà risultati sulla lunga distanza, un po’ di consapevolezza sta maturando, ma in linea generale si naviga a vista, non si investe per il futuro. Occorre seminare, iniziando a comprendere che non possiamo mettere un bambino di due o tre anni davanti a uno schermo, per poi progredire con la Playstation a otto, lo smartphone a undici anni fino ad arrivare a 16 anni con l’intelligenza artificiale. È molto comodo, comporta un disimpegno totale della società, ma avremo generato dei danni irreparabili. Dobbiamo tutti lottare contro un sistema che è solamente premiante e non formativo, la scuola e la famiglia in questi ultimi dieci anni hanno abbassato l’asticella degli standard cognitivi e comportamentali. Dobbiamo tornare alla fatica di spiegare, di leggere, di studiare, di memorizzare, perché la fatica è un valore, mentre oggi gli schermi rappresentano la nostra “confort zone”, ci mettono al riparo dalla fatica di pensare. Ogni conquista che l’essere umano ha fatto ha comportato un’enorme fatica, fisica, ma soprattutto mentale. (e.b.b.)

Condividi l'articolo su:
Avatar photo

Pubblicato da Elena Baiguera Beltrami

Le voci e i volti di montagna sono il pane e il companatico, letteratura, scrittura e ambiente alpino orizzonti di esplorazione fisica e mentale. Giornalista e autrice ha scritto il romanzo “Corrispondenze” (Albatros ed.), vive e respira comunicando e condividendo, passioni, riflessioni e testimonianze.