“Quando non stai pagando per un prodotto, il prodotto sei tu.” ”The Social Dilemma”, J.Orlowski
Darwin l’aveva spiegato ne L’Origine delle Specie: la competizione è essenziale in natura. Ogni organismo lotta per le risorse come cibo o spazio, ma questa dinamica, per quanto cruenta, ha uno scopo preciso: mantenere l’equilibrio sulla Terra.
Con l’avvento dell’era digitale è emersa, però, una nuova forma di competizione: la competizione social. La battaglia non riguarda più la sopravvivenza fisica, ma una risorsa oggi molto preziosa: l’attenzione degli individui. Insomma, la vera lotta è convincere il maggior numero di persone a mantenere lo sguardo fisso su un contenuto social (magari mettendo anche un like). Quello dell’attenzione è in effetti un mercato molto redditizio in cui battersi, se pensiamo che le aziende più ricche al mondo se lo contendono.
Comunque c’è una differenza fondamentale fra la competizione social e quella naturale: la gara digitale non sembra contribuire ad alcun equilibrio. Anzi questa battaglia per l’attenzione genera un clima continuo di guerriglia virtuale. Ogni idea e ogni valore sono trasformati in una scelta di campo, che spinge le persone a schierarsi costantemente. L’impressione è quella di partecipare al più lungo sondaggio mai inventato, che non ammette sfumature di opinioni o dubbi.
C’è un’interessante spiegazione di questo fenomeno nell’approfondito docu-film di Jeff Orlowksi, The Social Dilemma. Gli algoritmi di Facebook e Instagram privilegiano contenuti radicali e semplicistici, perché catturano maggiore attenzione, a discapito di discussioni complesse ed equilibrate. Sarebbe proprio questo vizio dell’algoritmo che fa apparire l’ambiente umano sempre più divisivo ed ostile. Forse, esserne consapevoli, farebbe già la differenza. Perlomeno ci eviterebbe il peso di essere soldati digitali senza nemmeno sapere quando di preciso siamo stati arruolati.