DDL ZAN: comunque vada sarà un insuccesso

Hora, isola di Naxos. Un mural di Michael Tsinoglou (da Instagram )

Un mural notevole. La tensione del peso della torta nel braccio del ragazzo; l’appoggio al muro con la mano aperta per scaricare un poco il peso; la forza delle gambe abituate a correre che riesce a reggere su di una sola tenendo l’altra sollevata, pronta a scattare in avanti per ruotare il corpo e lanciare; l’età giusta del ragazzino, che ha la forza ma non ancora lo sviluppo cerebrale per questioni più importanti; e la rappresentazione del selciato e della vita sospesa dentro le stradine di un centro storico. Che sia un paese greco o italiano non cambia: la torta in faccia come unico pensiero. Una metafora della leadership politica del nostro sciagurato Paese.

Si usa troppo spesso il Parlamento come campo di battaglia, anziché come luogo di discussione e, quando possibile, di composizione dei conflitti.

Il DDL ZAN, come altre, è iniziativa in sé lodevole, ma i vizi inveterati della nostra classe politica l’hanno trasformato in un pateracchio. Con un solo probabile esito: comunque vada sarà un insuccesso.

Sappiamo più o meno di che parla. Il DDL ZAN vorrebbe essere, nelle intenzioni, una legge a tutela del sacrosanto diritto delle persone a non essere discriminate in ragione del loro sesso, dei loro orientamenti sessuali, e anche del loro “genere”. Sesso e genere non sono la stessa cosa. Il sesso è quello rivelato da geni, ormoni, organi sessuali. Il genere, invece, è l’insieme delle caratteristiche che in una data cultura vengono attribuiti al maschile e al femminile. Così succede che il genere si manifesti in modi che la società riconnette al sesso opposto a quello cui la persona appartiene. Uomini che si comportano da donne e donne da uomini.

Ci siamo capiti? Sì. Ma in realtà no. Perché c’è chi sostiene che la cosiddetta identità di genere (cioè se ci si sente maschio o femmina) dipenda poco dal sesso, ma sia un prodotto della cultura e della costruzione sociale dei ruoli. E c’è anche chi ritiene che il genere vada “scelto” liberamente, in base alle proprie preferenze e in barba al sesso. C’è chi irride, chiedendosi che fare allora della suddivisione tra M o F ai bagni pubblici o spogliatoi ma anche nell’inquadramento giuridico e amministrativo, che non prevedono la categoria “altro” (e del resto cosa potrebbe significare)? Sono questioni complicate, perché è proprio contro gli “altri” e i “diversi”, minoritari ma per niente marginali, che si producono le discriminazioni. 

In realtà, non è la tutela la questione che agita il DDL ZAN (le minoranze vanno sempre tutelate, ché le maggioranze si tutelano da sé), ma l’uso della condanna penale a tale scopo. Sotto due profili fondamentali.

1) La teoria cosiddetta Gender è un’ideologia e come tale non può essere imposta con la forza. Ne va delle libertà democratiche; 2) Occorre garantire la certezza del diritto, soprattutto penale. Gli acronimi sempre aperti come LGBTQUIA (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Queer/Questioning, Intersex, Asexual) li si usi per fare politica, giornalismo e pratica sociale, non per le leggi penali. 

Perché, insomma, non ogni mezzo si giustifica con il fine: insegnare la tolleranza a bastonate è una pericolosa contraddizione in termini. Molte autorevoli voci della sinistra si sono levate per farlo notare.

Ma perché sul decreto ZAN si è prodotto questo “muro contro muro”, che rischia di fare saltare altre ben più urgenti e necessarie mediazioni tra le componenti politiche in questi tempi difficili?

Per calcolo? Certo, da parte delle destre ogni crepa nello schieramento di sinistra è utile. Ma da parte delle sinistre, perché irrigidirsi a costo di perdere la partita? Giochi d’azzardo? Rigidità intellettuale o insensibilità sui principi fondamentali? Un’avanguardia talmente avanti da diventare retroguardia? Difficile dirlo. Poi però ci accorgiamo che Letta dice sempre il contrario di quel che dice Renzi, che Grillo attacca Conte, che Salvini e Meloni alternano solidarietà a improperi verso tutti compresi i soggetti che dovrebbero essere tutelati dalla legge. E allora temiamo che l’orizzonte in cui si muovono sia quello del ragazzo della foto. Gambe raccolte e muscoli in tensione con un solo obiettivo principale: tirarsi torte in faccia. Saranno pure dolci. Ma che spreco!

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Pubblicato da Stefano Pantezzi

È nato a Rovereto nel 1956 e cresciuto a Trento, vive a Pergine Valsugana. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna, è avvocato da una vita. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Come una nave d’acqua” (2018) e alcuni racconti in antologie locali. “Siamo inciampati nel vento” (Edizioni del Faro) è il suo primo romanzo.