Dell’appartenenza e dell’inutilità di appartenere

“Costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera. Occorrono traditori della compattezza etnica, ma non transfughi”. (Alexander Langer)

Chi sei? Chi sei tu? Cosa sei? Chi sono? Cosa sono? Come posso risponderti se sono nato in un paese dove si fronteggiavano due osterie, una portava il nome di Andreas Hofer, l’altra, proprio davanti, era intitolata al Tricolore italiano. Nella prima si giocava a watten con le carte tirolesi, nell’altra, con le carte napoletane, a tressette a perdere e in tutte e due si bestemmiava in italiano e in tedesco e si beveva vino cattivo, e gli uomini e, molto spesso le donne, facevano la spola tra l’una e l’altra fino a che si faceva l’alba. E due scuole c’erano, una portava il nome del sommo Poeta italiano, l’altra quello dell’imperatrice saggia Maria Theresia von Habsburg-Lothringen. E l’una e l’altra si contendevano gli scolari con i benefit; se una dava un paio di scarpe e una gonna, l’altra si affrettava a mettere a disposizione un paio di calze, un berretto e un paio di pantaloni corti. E se poi in una si poteva godere gratis del pranzo di mezzogiorno allora l’altra vi aggiungeva anche la merenda del pomeriggio. Si dice che infine una abbia offerto, a chi vi iscriveva i propri figli, il ritratto incorniciato con firma autografa dell’imperatore e allora non c’è più stata partita, gioco, set e match.

Chi sono io? Che sono nato in un paese dove alla fontana per lavare i panni si andava in orari diversi per parlarsi in lingue diverse? Ma poi la casa di uno, era la casa dell’altro quando l’inverno e la neve stringevano in silenzio le case di tutti. 

Chi sono io? Con il nonno materno che, per quell’Imperatore venerato, aveva combattuto in Galizia, quel luogo di inferno che solo a dirne il nome faceva rabbrividire quelli della sua generazione e laggiù (o lassù che dove fosse per davvero la Galizia nessuno lo seppe mai) gli avevano dato quella medaglia di cui andava orgoglioso perché il suo Imperatore era ancora in vita quando gliela hanno data e lui sapeva che l’Imperatore ne era stato informato. Il suo solo vanto: il proprio nome pronunciato in sua presenza.

Chi sono io? Con la mia nonna materna “di specchiata fede italiana” che alla scuola, che portava il nome del Poeta aveva imparato a memoria e in italiano le poesie di Manzoni e aveva ricevuto il voto di “lodevole”.

Chi sono io? Con due nonni che hanno allevato una figlia, mia madre, la cui unica appartenenza era quella di Francia dove l’hanno portata in fasce, emigranti per censo di nascita, e dove imparò il francese con cui parlare con la cugina; il francese, l’ultima delle quattro lingue parlate (francese, tedesco, italiano e cimbro) che l’Alzheimer è riuscito a strapparle. 

Chi sono io? Con un nonno paterno che, obtorto collo, pensò fosse opportuno prendere la cittadinanza del Reich, quel Reich che doveva essere millenario e che durò il tempo di un volo di farfalla, per evitare al figlio diciottenne la chiamata in guerra del regno d’Italia dove spadroneggiava l’odiato dittatore. 

Chi sono io il cui nonno paterno, apolide per lungo tempo dopo la fine del secondo massacro mondiale, la notte tra il 6 e il 7 giugno 1953, riavuto finalmente una cittadinanza, stette seduto per tutto il tempo davanti alla sede del seggio elettorale per essere il primo in paese a votare il partito di Nenni e Pertini

Chi sono io? Sono il quarto dei sei figli di un soldato della Wehrmacht, (al nonno promisero, ma non mantennero, che in cambio dell’opzione il figlio non sarebbe stato chiamato in guerra) che combatté in Sicilia e ad Anzio e infine a Cassino e a casa scrissero che qui era caduto e a casa fecero una messa in sua memoria. Combatté agli ordini del generale Fridolin von Senger und Etterlin con cui parlava in italiano se vi erano presenti dei tedeschi e in tedesco se vi erano degli italiani. Sono il figlio di un padre che insegnò a disertare tutte le guerre che quella combattuta da lui poteva bastare per tutte le generazioni a venire. 

Chi sono io, infine? Che in prima elementare non comprendevo una sola parola di italiano e che parlo e scrivo una lingua di nessuno, l’ultima patria di un senza patria, figlio di tante patrie. Chi nasce sui displuvi delle montagne dove le acque si dividono e scendono verso mari diversi, spesso nemici, sa dell’inutilità dei confini e dell’appartenenza a grandi o piccole patrie “Giacché al mondo siamo tutti paesani”. 

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Pubblicato da Andrea Nicolussi Golo

Responsabile dello sportello Linguistico della Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri, collabora con l’Istituto Cimbro di Luserna/Lusérnar Kulturinstitut. Ha pubblicato il libro di racconti Guardiano di Stelle e di vacche (2010), e i due romanzi Diritto di Memoria (2014) e Di roccia di neve di piombo (2016), quest’ultimo finalista e segnalato ai Premi ITAS, Rigoni Stern e Leggimontagna. Nel 2011 è stato insignito del premio “Ostana scritture in lingua madre”. Ha vinto numerosi concorsi di poesia sia in lingua cimbra che in italiano e nel 2013, su autorizzazione Einaudi, ha dato alle stampe la traduzione in lingua cimbra del capolavoro di Mario Rigoni Stern Storia di Tönle. Nel 2016 ha pubblicato la traduzione in cimbro de Il piccolo principe e nel 2018 la versione integrale di Pinocchio. Per l’Istituto Cimbro di Luserna ha pubblicato varie favole per bambini.