Di guerrieri e di ragazze

È perché mi era venuto in mente il film Pat Garret and Billy the Kid, altrimenti avrei dato per certo che il libro, non tanto e non solo per il soggetto ma per l’intonazione del racconto, era stato scritto da una donna.

Troppe sfumature tipiche del mondo femminile, per lo più inaccessibili ai maschi; però, pensavo, magari gli scrittori sono capaci di una immedesimazione che va oltre. Ma poi no. Gli uomini sono uomini: possono capire, ma non possono pensare da donne. È un mondo diverso, totalmente differente, che poggia su altri bastioni, percorre vie diverse. E infatti no. Bastava un poco di attenzione in più. Pat è un nome sia maschile che femminile: è forma breve, quella che amano gli americani, sia di Patrick che di Patricia. Sicché Pat Barcher, che ha scritto questo bellissimo libro “Il silenzio delle ragazze” (The silence of the girls, Einaudi, 2018), a pensarci, poteva e doveva essere scritto da una donna. Perché altrimenti non avrebbe potuto narrare, non conoscendolo, il punto di osservazione femminile sul mondo.

“Alle donne si addice il silenzio” imponeva la regola, a quei tempi. Da questo, il titolo. 

Il libro rammenta, oggi, che il mondo viene vissuto diversamente dai due generi, e che è sempre stato così. 

Non fatemi dire come, che non serve. Quello degli uomini lo conosciamo, sia perché ci circonda sia perché ne è piena la letteratura. Ma quello delle donne è sempre rimasto molto nascosto. Gli uomini semplicemente non lo vedono, questo modo diverso di accedere alle cose. Lo vedono solo le donne; lo raccontano poco agli uomini, anche perché le donne tendono a verbalizzare mentre qui si tratta invece di trasmettere sensazioni quasi incomprensibili per chi ha un corpo differente, e magari neanche tra di loro perché nemmeno loro amano raccontarsi le proprie debolezze.

O forse perché i maschi non riescono a ricollegare alla superiore forza fisica (non ho detto “resistenza”) una percezione differente della relazione, non avendola mai provata.

Eppure siamo tutti forti e deboli a un tempo, tutti spendiamo ugualmente i nostri timori e la nostra forza d’animo: tutti, nessuno escluso.

“Achille vede entrambi, il coraggio e la paura, e Priamo si guadagna il suo assoluto rispetto”, si può leggere a pagina 278. Molti già  sanno perché e in quale occasione, conoscendo le vicende dell’Iliade: Priamo ha raggiunto da solo Achille al campo acheo e lo implora di restituirgli il corpo di Ettore. Achille, che rispetta la fragilità della vecchiaia perché sa che morirà forte ma giovane, glielo concede.

Del resto non c’è niente di nuovo, sotto il sole. Anche l’Iliade, in fin dei conti, non è che un riepilogo, una summa, una piccola enciclopedia dei tipi umani.

Questa Iliade qua, ecco, ha un timbro un po’ diverso. Molto diverso, forse. È la storia di Achille raccontata da Briseide, la nobile troiana rapita dagli Achei. Un Achille che non si è mai sentito, un Achille che piange e uccide: un Achille femmina, che non può esistere né può essere mai esistito. 

Non si può piangere e uccidere. L’Achille vero non piange: uccide. Se piangesse non potrebbe uccidere: questo il libro ci vuole dire, credo. Forse è un inganno. Forse è un modo meraviglioso di suggerire come il mondo potrebbe essere diverso; come potrebbe, forse, essere migliore.

Perché, sì, anche nel mondo maschile degli antichi Achei il silenzio delle ragazze, qualche volta, veniva rotto. Non sempre con le parole. Talvolta solo con le lacrime. Ma, forse, dico forse, sono solo queste rotture che ci hanno permesso di arrivare sino a oggi.

E domani? Chi lo sa.

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Pubblicato da Stefano Pantezzi

È nato a Rovereto nel 1956 e cresciuto a Trento, vive a Pergine Valsugana. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna, è avvocato da una vita. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Come una nave d’acqua” (2018) e alcuni racconti in antologie locali. “Siamo inciampati nel vento” (Edizioni del Faro) è il suo primo romanzo.