Caro Piero Angela, dietro un voto c’è sempre un cuore

Come non ammirare Piero Angela, divulgatore scientifico amato e stimato da tutti. Quante volte ci siamo persi nelle sue ricostruzioni storiche, nei suoi documentari sempre personalizzati e ragionati, nelle sue tematiche sempre attuali. Certo, la tentazione di diventare “tuttologi” – nel senso di masticare un po’ tutto lo scibile e di conseguenza occuparsi di un argomento senza tuttavia saperne troppo – ha preso un attimo anche il grande Piero nazionale. Intervenuto ad una nota trasmissione televisiva, ha parlato infatti di scuola e di educazione in termini abbastanza chiari

“Cosa ce ne facciamo dei ragazzi che prendono 10, 9, 8 a scuola se non sono in grado di intervenire quando viene fatto del male ad un compagno, quando hanno delle prestazioni eccezionali ma non hanno strumenti per aiutare un loro amico e riconoscere un bisogno. Si punta troppo sulle prestazioni e troppo poco sui sentimenti, troppo egoismo e impoverimento emotivo. Un figlio deve prima diventare un uomo inteso persona con valori. Non puntiamo troppo sulle prestazioni.”

Su qualche aspetto Angela ha ragione. La società attuale – in questa fase storica che potremo definire “neopositivista” – è costruita su algoritmi scientifici ed economici, retti dalle rigide leggi di mercato basate su produzione, incremento, ottimizzazione dei risultati. Il sentimento qui ha pochi spazi di movimento e di espressione; è rinchiuso nelle maglie del sistema sociale; è considerato come mero accessorio o appannaggio di facciata. 

È anche vero che il sistema scolastico incentiva e spinge verso questo format. Basti guardare i dati delle iscrizioni alle scuole superiori: i licei scientifici e gli istituti tecnici sono quelli più gettonati, perché ritenuti in grado di fornire strumenti idonei, richiesti da un futuro mondo universitario e poi lavorativo. La formazione cosiddetta umanistica non risulta troppo spendibile a lungo raggio; ed anche i ragazzi che vorrebbero scegliere questi rami per inclinazione personale verso materie più letterarie, si pongono la domanda: e dopo?! Che faccio? Fino qui siamo tutti d’accordo.

Mi sento invece di dissentire con Angela su un paio di questioni inerenti al suo discorso. La prima riguarda il fatto che la scuola – pur dovendo necessariamente puntare sulle prestazioni – non tralascia l’ambito educativo, anzi. Le offerte del territorio e delle istituzioni puntano proprio a valorizzare e a mettere il focus sulle dinamiche adolescenziali. Si moltiplicano gli interventi di esperti sui pericoli del web, sulla gestione dei mezzi di comunicazione, sul bullismo, sull’affettività,  tutti gestiti da personale competente e qualificato, come ad esempio psicologi. Le offerte laboratoriali sono e sarebbero tantissime e spesso gli insegnanti sono costretti a filtrare e selezionare un numero calibrato di interventi ai quali aderire per ovvie motivazioni di tempi e di spazi. 

Inoltre, contrariamente a quanto afferma Angela,  riscontro nei ragazzi un generale spirito di fare rete, di voglia di aiutarsi, di venirsi incontro nel momento del bisogno. Certo, non mancano gli episodi di scontro, che caratterizzano quelle fasce d’età e le relative problematiche, ma gli strumenti che la scuola può utilizzare ci sono e si utilizzano, eccome! 

E poi Angela parla delle eccellenze, dei ragazzi che a scuola prendono 10, 9, 8. E gli altri? Il grande gruppo che arranca, che fa fatica ad arrivare al 6? Quello non interessa a nessuno? Tra questi magari ci sarà chi riuscirà a trovare la propria strada, sudando più di altri; oppure ci sarà chi riuscirà a trovare anche nell’istituzione scuola un percorso ed una via d’uscita. Ma quelli dei 5 e dei 6 tirati dove finiranno nel mondo, quale ruolo avranno nel sistema a senso unico delle alte prestazioni? Purtroppo infatti esiste un numero che si perde, con tante motivazioni che vanno ricercate anche nel sociale. E allora mi sembra semplicistico parlare solo di voti alti e di impoverimento emotivo. Dietro la facciata esiste un mondo difficile da capire e da gestire. Cosa ce ne facciamo dei divulgatori che parlano senza essere dentro quel mondo?

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Pubblicato da Tiziana Tomasini

Nata a Trento ma con radici che sanno di Carso e di mare. Una laurea in materie letterarie e la professione di insegnante alla scuola secondaria di primo grado. Oltre ai grandi della letteratura, cerca di trasmettere agli studenti il piacere della lettura. Giornalista pubblicista con la passione della scrittura, adora fare interviste, parlare delle sue esperienze e raccontare tutto quello che c’è intorno. Tre figli più che adolescenti le rendono la vita a volte impossibile, a volte estremamente divertente, senza mezze misure. Dipendente dalla sensazione euforica rilasciata dalle endorfine, ha la mania dello sport, con marcata predilezione per nuoto, corsa e palestra. Vorrebbe fare di più, ma le manca il tempo.