Dress code, nervo mooolto scoperto…

Prendiamo l’arrivo della tanto agognata bella stagione e mescoliamolo bene con il calendario, che registra le ultime settimane dell’anno scolastico. Aggiungiamoci gli ormoni a mille dell’età, e il gioco è fatto. Questo impasto esplosivo, capace di propagarsi con grandissima facilità, infiamma non solo i soggetti in questione – studenti e studentesse – ma anche tutte le ultime riunioni collegiali del mondo della scuola. 

Ogni istituzione scolastica ha un regolamento interno, che tra le varie voci include spesso quella di adottare un abbigliamento “consono e decoroso”, nel rispetto dell’ambiente e delle persone che lo vivono. Nella realtà, in questo periodo in particolare, assistiamo a un qualcosa che trascende l’idea di “consono e decoroso” per dilagare in tutt’altre interpretazioni. Partiamo allora dal concreto del problema, che si traduce in magliette molto corte per le ragazze e in pantaloni molto abbassati per i ragazzi. Ma quando una maglia è troppo corta? Quando lascia scoperto l’ombelico o pochi centimetri oltre, o sotto il seno? E quando i jeans si possono definire troppo abbassati? Quando lasciano intravedere l’elastico dei boxer o parte delle chiappe? Un vero dilemma, che passa dalla discrezione personale a una concezione universalmente valida di accettabilità condivisa. 

Gli attriti tra docenti e dirigenti su questo nervo scoperto (e molto scoperto!) della scuola vertono essenzialmente su chi sanziona. I vertici della scuola sostengono di visionare e richiamare con regolarità a un ordine esteriore studenti e studentesse, nei limiti del possibile. E se allora il dirigente o chi per esso staziona di quando in quando davanti all’ingresso dell’istituto controllando l’outfit e suggerendo di abbassare o di alzare questo o quel capo di abbigliamento, poi in prossimità delle aule tutto ritorna alle misure precedenti: si tolgono le felpe, si alzano i top, si espone il filato in cotone delle mutande. 

E qui entra in gioco il malcapitato docente di turno, che prima di fare l’appello, controllare se ci sono libri e quaderni ed eventualmente registrare un’annotazione, verificare lo svolgimento dei compiti assegnati segnalandone la mancanza e iniziare finalmente la lezione – “dai ragazzi, che tra un po’ suona!” – dovrebbe controllare/suggerire/redarguire/sanzionare dress code troppo azzardati. È vero, un docente è anche un educatore. Ma in quanti ambiti dobbiamo farlo? 

“Nell’aula di una scuola superiore uno diventa un sergente, un istruttore, un rabbino, una spalla su cui piangere, un cerbero, un cantante, uno studioso, un impiegato, un arbitro, un pagliaccio, un consulente, un censore dell’abbigliamento, una guida, un filosofo, un collaboratore, un ballerino di tip tap, un politico, un medico, un fesso, un vigile urbano, un prete, un padre/madre/fratello/sorella/zio/zia, un ragioniere, un critico, uno psicologo, l‘ultima goccia che fa traboccare il vaso.”

Così scriveva il mitico Frank McCourt nel suo best sellers “Ehi, prof!”, includendo nei vari ruoli del docente disperato anche quello di “censore dell’abbigliamento”. 

E poi ci chiediamo perché siamo indietro col programma, perché mai non riusciamo a finire il manuale, perché il livello generale si sta abbassando in ogni ordine e grado. Certo, se dobbiamo colmare tutti i vuoti familiari e sociali, per forza! Di tempo per spiegare ne resta poco. 

E allora talvolta ci dobbiamo spendere in pseudo prediche ora decise, ora calibrate, dai toni ora accesi, ora pacati, sperando che l’opinione autorevole dell’adulto – bah, ma chi li ascolta ‘sti rompiscatole? – incida in qualche modo sulle menti in erba. Magari portando con sé qualche conseguenza positiva, come qualche centimetro di maglietta in più e una bella cintura. E forse non sapranno che Tirana è la capitale dell’Albania, perché Carlo Magno è definito il padre dell’Europa e forse nemmeno risolvere le equazioni scomponibili di grado superiore al secondo. Ma quando torneranno a casa, domande e risposte rimarranno invariate. Sempre. 

“Com’è andata a scuola?”
“Bene.”
“Cosa avete fatto?”
“Niente.”

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Pubblicato da Tiziana Tomasini

Nata a Trento ma con radici che sanno di Carso e di mare. Una laurea in materie letterarie e la professione di insegnante alla scuola secondaria di primo grado. Oltre ai grandi della letteratura, cerca di trasmettere agli studenti il piacere della lettura. Giornalista pubblicista con la passione della scrittura, adora fare interviste, parlare delle sue esperienze e raccontare tutto quello che c’è intorno. Tre figli più che adolescenti le rendono la vita a volte impossibile, a volte estremamente divertente, senza mezze misure. Dipendente dalla sensazione euforica rilasciata dalle endorfine, ha la mania dello sport, con marcata predilezione per nuoto, corsa e palestra. Vorrebbe fare di più, ma le manca il tempo.