Per assurdo siamo tutti lì per goderci il finale. Perché sappiamo che sarà quello, di nome e di fatto. Quel celeberrimo “The Final Countdown” di cotonata memoria, dal sapore agrodolce dei pieni anni Ottanta. Tanto per azzardare un dato statistico desunto da qualche chiacchierata scambiata coi vicini di fila alla cassa, dei tremila presenti alla Trentino Music Arena per lo show degli Europe una buona percentuale conosce solo quelle 2 canzoni. Punto. Il resto è un vago commentare che spazia da “Sì, alcune le conosco…” a “Ne so 4 o 5 su per giù…”.
La seconda in questione (per ordine di notorietà) è naturalmente la romantica e mielosa “Carrie”, che viene messa in scaletta circa a metà concerto e che infiamma subito le telecamere dei telefoni, che illuminano a giorno la brulla spianata di S. Vincenzo. Questo per quanto riguarda i contenuti. Ma di loro, che vogliamo dire? Considerata l’età, qualcuno sbeffeggia maligno che i famosi svedesi capelloni si presenteranno sul palco con il girello per deambulare (in compagnia di molti dei presenti, se vogliamo dirla tutta…) Invece gli inossidabili irrompono sulla scena saltellando grintosi e pimpanti. Assistiamo anche a qualche performance in perfetto stile rock, come il classico volteggio e lancio dell’asta del microfono.
Fisicamente sono dei “bonazzi” e soprattutto lui, il leggendario Joey Tempest, appare in splendida forma: capello lungo e sorriso perfetto, fasciato in pelle nera e borchie luccicanti. Snocciola canzoni una dopo l’altra, salutando e ringraziando – di tanto in tanto – Trento e l’Italia. Due parole anche sul pubblico. Qualche volto noto della “Trento bene”, ci sono i rockettari doc, riconoscibili dalle magliette di altri concerti storici. Ci sono anche dei giovani variamente motivati, forse spinti dall’entusiasmo dei genitori boomers. Ci sono colleghi di lavoro ma anche un discreto numero di persone venute da, come riportano i quotidiani, altre parti d’Italia, dalla Svizzera e dal Tirolo. Dopo l’ultima nota dell’infuocato “The Final Countdown”, Joey Tempest e i suoi abbandonano la scena. Le persone sciamano verso il parcheggio, che subito si congestiona verso l’unica uscita consentita. Vecchio problema già noto dall’esperienza di Vasco. Intanto serpeggia qualche commento, come di rito: bravi, il volume era basso, potevano concedere qualche bis. E la birra? Un po’ cara per essere locale, ma si sa, le leggende costano. Anche nel bicchiere di plastica.