Francesco Filippi: “Fare chiarezza è una necessità”

Storico e formatore per percorsi educativi dell’associazione Deina che si occupa di viaggi della memoria e percorsi di cittadinanza attiva dedicati a giovani adulti, Francesco Filippi, cresciuto a Levico Terme, dallo scorso anno è noto alle cronache nazionali – e ormai internazionali – per due libri che hanno scalato le classifiche di vendita in tutta Italia. Mussolini ha fatto anche cose buone e Ma perché siamo ancora fascisti? editi da Bollati Boringhieri, sono i titoli di quelli che sono diventati dei best seller e rispondono all’esigenza, più attuale che mai, di fare i conti con il passato per dare un nuovo sguardo sul presente. È proprio così che Francesco Filippi intende il lavoro di storico: un servizio al tempo contemporaneo, piuttosto che una materia da archivi e accademie. E i numeri che caratterizzano la diffusione dei suoi libri insieme alle recensioni sempre molto positive che continua a collezionare, non fanno che dargli ragione.
Negli ultimi tempi è stato ospite di importanti kermesse editoriali in tutta Italia, dal Salone del Libro di Torino fino a Insieme. Lettori autori editori, la festa romana del libro nata per iniziativa di Letterature, Libri Come e Più libri più liberi. Tra una cosa e l’altra, un caffè e qualche chiacchiera.
È un periodo piuttosto intenso per te: come sta andando?
Sì, è un periodo molto buono. Da poco il libro è stato tradotto in francese e a inizio settembre sono stato un paio di giorni a Parigi, incontrando i lettori e una quindicina di giornalisti. Le cose vanno decisamente bene! Nei Festival mi invitano presentare i libri e anche le vendite vanno alla grande. Il secondo libro è in continuità con il primo quindi anche l’acquisto in coppia funziona. Al tema ultimamente c’è molta attenzione e le recensioni sono positive.
Perché secondo te c’è attenzione al tema ora? Ha qualcosa a che fare con il diffondersi del sovranismo come fenomeno mondiale?
In Italia l’interesse per il fascismo è stato sempre presente come rumore di fondo. La forma che possiamo immaginare è quella di una sinusoide: ci sono momenti in cui la politica preme con più veeemenza sul tema, ma per lo più credo che le questioni relative al fascismo saltino fuori soprattutto in momenti di crisi. È stato così negli anni ‘70, negli anni ‘90, è così oggi. Si parla di fascismo e di antifascismo oppure ci sono politici, che osservo con interesse analitico, che ne parlano per dire che il tema è del tutto superato. Non credo si tratti di una novità, piuttosto considero l’interesse per il tema un dato utile come termometro della nostra democrazia. E poi c’è un’altra cosa da rilevare: nel nostro Paese di fascismo ne parlano tutti. Abbiamo le opinioni dei politici, dei giornalisti, di Fausto Leali al Grande Fratello. Tutti, tranne gli storici.
Lo fai tu, no? Come è da storico inserirsi in un dibattito simile?
Lo faccio perché ho rilevato una necessità in quello che è il mio vero lavoro, che non è fare l’autore. Sono infatti formatore per Deina, associazione che organizza progetti di formazione e cittadinanza in tutta Italia e viaggi della memoria. Molti dei ragazzi e delle ragazze che incontro nei progetti, mi hanno riportato bufale sul fascismo recuperate in rete. Io ero molto stupito, non potevo immaginare esistessero spazi virtuali in cui vengono diffuse fake news sul Duce o il Ventennio. Storicamente è comunemente noto che si tratta di falsità, ma ciò non toglie che i ragazzi le trovano e con queste si devono confrontare. Credo sia questa la frattura tra società italiana e ricerca storica: gli storici, gli accademici, considerano la verifica dei fatti storici un contenuto recepito da tutti, non credono ci sia necessità di chiedersi ancora quali siano le verità sul fascismo. Invece questo bisogno esiste. Così ho preso alcuni temi forti della contronarrativa e ne ho fatto dei capitoli raccolti in quello che immaginavo un manuale per ragazzi. Il resto è ciò che si sa e che ora racconto con stupore: il successo di Mussolini ha fatto anche cose buone mi ha fatto riflettere molto sulla necessità di fare chiarezza.
E il secondo libro?
Ma perché siamo ancora fascisti? nasce in continuità al primo libro. Spesso al termine delle presentazioni o nelle piazze virtuali le persone si alzavano e mi facevano questa domanda. Chiedevano: perché ancora oggi parliamo di questo? Perché ancora la nostra identità passa attraverso il fascismo?
Queste domande – come dice il titolo stesso – hanno stimolato il secondo libro, che si divide in due parti. Nella prima affermo il mio punto di vista rispetto alla domanda del titolo. Per me infatti la risposta si trova nel fatto che non sono stati puniti i colpevoli: il fascismo è rimasto per mancata epurazione. Nella seconda parte chiarisco invece cosa non è stato costruito, ovvero l’assenza di una contro-retorica. Abbiamo avuto un racconto del fascismo del tutto autoassolutorio, un compito che è stato assunto secondo me dalla narrativa del cinema italiano.
Qualcuno vede nella sconfitta di Donald Trump un duro colpo ai sovranismi, anche europei, è veramente così?
Non credo che il sovranismo europeo sia stato un fenomeno alimentato direttamente dal trumpismo; piuttosto i sovranisti europei e Trump hanno utilizzato toni e argomenti simili di fronte alle difficoltà del modello democratico occidentale. Sono convinto che l’unico modo per frenare l’avanzata dei sovranisti europei sarà quello di lavorare sulle cause del malcontento che animano queste compagini: sono movimenti politici che sfruttano qualsiasi crisi del sistema per accumulare un effimero consenso elettorale, basterà affrontare realmente le cause di questo malcontento per vedere i sovranismi sciogliersi al sole. Basti vedere cosa è accaduto alle ultime elezioni amministrative a Vienna: il lavoro sulla coesione sociale e sul coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni del comune hanno fatto precipitare l’FPÖ a percentuali minime, dopo i trionfi degli scorsi anni. Dare risposte ai cittadini è il modo più sicuro per evitare derive localiste.
Si può dire che hai reso pop la narrazione storica, facendone divulgazione?
Divulgativo non è un brutto termine. Gli storici italiani sono attenti, precisi e preparati sul tema fascismo. Ma allora perché la società italiana non è rappresentativa di questo? Mi ritengo “di scuola anglosassone”: un libro funziona se molte persone lo leggono. Sono anni che gli storici scrivono libri per gli storici e le verità sul fascismo non escono dalle accademie. La società però si costruisce una narrativa con altri strumenti: il cinema è stato appunto potentissimo in questo. Mia nonna, democristiana, era antifascista per emotività: non aveva letto la letteratura su cui è costruito l’antifascismo italiano, aveva spunti di conoscenza che arrivavano per lo più da Don Camillo e Peppone. Questi sono stati cliché utilissimi nella costruzione della coscienza italiana. Le categorie cinematografiche sono entrate nel linguaggio comune e hanno grande responsabilità: il cattivo è da sempre il tedesco, “italiani brava gente” è un mito coltivato anche dal cinema.
Tra l’altro, anche Bruno Vespa, quest’anno ha voluto dedicare la sua strenna libraria a Mussolini… Quel titolo, però, sembrerebbe quasi fare il verso ai tuoi…
Vi sono molte tipologie di libri che affrontano argomenti che fanno discutere. In Italia il fascismo è un forte catalizzatore di opinione. Ritengo tuttavia che i libri di Bruno Vespa e i miei siano dettati da approcci diversi alla materia.
Le presentazioni che hai fatto in Trentino hanno avuto riscontro diverso rispetto ad altri territori: la storia locale che impatto ha sulla memoria collettiva?
Qui c’è percezione di una storia più complessa, ma non più approfondita. Però i trentini che si appassionano di storia sono molti e lo fanno secondo chiare fratture, che qui sono di più rispetto alla storia nazionale: nella storia trentina c’è una doppia cesura, nel 1918 e nel 1945. Ho notato però anche qui una deresponsabilizzazione dei trentini nei confronti del fascismo. Questa è stata la vetrina del regime imperante, anche qui il fascismo è stato pervasivo. Ma il Trentino non ha fatto i conti con questo: si è riusciti in qualche modo a raccontare il fascismo qui come qualcosa di alieno e prendere le distanze dal fenomeno è il primo passo per la deresponsabilizzazione.
Che cosa ti ha portato dove sei ora? O, se preferisci, da dove arrivi?
I dipartimenti di studi storici sono pieni di ex bambini che amavano giocare con i soldatini. Per me la Storia è piena di storie e il complesso narrativo che la crea mi affascina molto.
Le grandi lezioni di Marc Bloch o Carlo Maria Cipolla mi hanno convinto che la Storia ha bisogno di narratori di storie: al centro non c’è ciò che il passato ci dice, ma ciò che noi vogliamo ascoltare da esso.
La Storia è come il supermercato in cui puoi trovare di tutto. La Memoria è invece entrare nel supermercato e prendere ciò che vuoi. I meccanismi che guidano le società a scegliere di quali segmenti della Storia fare Memoria è oggi il centro della mia indagine. Penso che se la Storia non parla al presente sia inutile: o è un bene strumentale dell’essere umano, altrimenti è antiquariato.
Dopo due libri su questo tema, senti di essere riconosciuto come “quello che parla male di Mussolini”?
Il cappello dello storico che fa politica me l’hanno dato altri. Con il primo libro, ma anche con il secondo, tento di ribadire qual è il metodo storico. È relativo, non centrale, che io mi sia occupato di fascismo. L’ho fatto seguendo una necessità, perché secondo me c’è una memoria corrotta e voglio riposizionare alcuni fatti storici.
Se noi leggiamo questo tentativo di correggere alcune storture interne alla storia degli italiani, di fatto prendiamo a pretesto Benito Mussolini per parlare degli italiani di oggi. Per questo non mi sento legato a una figura del passato, ma a una utilità del mio mestiere nel presente.■

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Pubblicato da Susanna Caldonazzi

Laureata in comunicazione e iscritta all'Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige dal 2008, inizia la sua esperienza professionale nella redazione di Radio Dolomiti. Collabora con quotidiani, agenzie di stampa, giornali on line, scrive per la televisione e si dedica all'attività di ufficio stampa e comunicazione in ambito culturale. Attualmente è responsabile comunicazione e ufficio stampa di Oriente Occidente, collabora come ufficio stampa con alcune compagnie, oltre a continuare l'attività di giornalista free lance scrivendo per lo più di di cultura e spettacolo. Di cultura si mangia, ma il vero amore è la pasticceria.