È scomparso recentemente Eddie Van Halen, uno dei più amati funamboli della chitarra rock, per chi è interessato alle definizioni “hard rock”, oppure “heavy metal” (la distinzione è dibattuta; per quanto mi riguarda, il termine heavy metal, mutuato, pare, da William Burroughs, ha iniziato a diffondersi fra la fine degli anni 70 e i primi 80, in precedenza si diceva per lo più hard rock). Ma qual è stata la pietra miliare, il disco più popolare, del genere “rock duro”? Quello che oggi – come certi peccati di gioventù – è imbarazzante persino nominare? L’esordio dei Black Sabbath? Il secondo dei Led Zeppelin, quello con Whole Lotta Love? Qualcuno ha nominato i Cream?
Io dico Made in Japan, dei Deep Purple, il doppio live registrato nel 1972 dalla band inglese durante un tour giapponese. In questo disco, definito da Roger Glover “il più onesto della storia del rock”, perché privo di manomissioni in studio, molto frequenti nei dischi dal vivo, ci sono tutte le invenzioni principali del genere: le sequenze di accordi – ovvero i riff – diventati immortali, in particolare uno, quello di Smoke on The Water, che all’epoca canticchiavano persino i neonati appena usciti dalle pance delle madri; le alternanze forte-piano, magistrali quelle di Child in Time, in cui si passa dai sussurri quasi-blues alle urla lancinanti; e soprattutto, gli assoli, lunghissime tirate di chitarra, tastiere, batteria (i 6 minuti di The Mule sono uno degli assoli di batteria più lunghi della storia), che un ragazzo di oggi, abituato all’essenzialità dell’hip hop o alle geometrie sonore dell’electro, probabilmente si addormenterebbe dopo 30 secondi. Il disco vendette moltissimo, sia in Europa che in America, consacrando la fama dei Deep Purple nella loro formazione classica, che tutti gli appassionati sanno a memoria. Ripetete con me: Ian Gillan, voce; Ritchie Blackmore, chitarra; Jon Lord, tastiere; Roger Glover, basso; Ian Paice, batteria. Il gruppo si era formato a Hertford, una delle contee nei dintorni di Londra, nel 1968. Nei primi anni, per la verità, aveva faticato un po’ a trovare la sua strada, incidendo anche con orchestre classiche, fra cui la Royal Philarmonic Orchestra. La svolta arrivò nel 1970, con In Rock, ma è Smoke on the Water, “fumo sull’acqua”, contenuta originariamente in Machine Head (e conosciuta soprattutto in questa versione dal vivo) il brano che i Profondo Porpora hanno consegnato per sempre alla storia del rock. Una curiosità: di cosa parla quella canzone? Dell’incendio che un fan di Frank Zappa & The Mothers of Invention causò scioccamente al casinò di Montreux, città celebre anche per l’omonimo festival jazz.