Pubblicato in Italia nel 2022, L’imperatore d’America. La grande fuga dalla Galizia di Martin Pollack (Keller Editore, pag. 266, € 18) non è esattamente fresco di stampa, ma merita assolutamente attenzione. Da dove iniziare? Innanzitutto, è inevitabile che il lettore tracci un parallelo tra le agenzie di navigazione che alla fine dell’Ottocento gestivano i piroscafi da Amburgo e Brema a New York, spesso operando ai limiti della legalità, e gli scafisti di oggi, che portano migranti dall’Africa in Europa attraverso il Mediterraneo. In entrambi i casi, si tratta di uomini senza scrupoli che sfruttano la disperazione e l’ignoranza di chi cerca una vita migliore, a qualunque costo.
L’Impero Asburgico, con una discutibile gestione dell’emigrazione galiziana, non è certo meno ambiguo di certi governi del 2024. Da un lato, reprime duramente l’esodo, dall’altro, chiude un occhio sulla corruzione che dilaga tra i suoi funzionari, pronti a lucrare sulla pelle di poveri contadini. E questi ultimi, così disperati, così ingenui, sono disposti a credere a qualsiasi promessa, anche che una sveglia da comodino possa decretare il “via libera” verso le Americhe. O che il principe Rodolfo, invece di essere morto a Mayerling, stia in realtà organizzando la nascita di un’enclave galiziana dall’altra parte dell’oceano.
L’emigrazione di massa in Galizia è una tragedia nascosta della Storia. Quasi tutti erano uomini, e la loro assenza avrà conseguenze notevoli: nel 1914, proprio sul fronte galiziano, arriveranno decine di migliaia di trentini: forse proprio per colmare (almeno in parte) il vuoto lasciato da quegli emigranti? Non possiamo affermarlo con certezza, ma l’ipotesi è intrigante.
“L’imperatore d’America” è un libro a suo modo sconvolgente, una denuncia implacabile dei soprusi del Potere e della malvagità più disumana di cui è capace chi sfrutta i più deboli per saziare la propria cupidigia o, più semplicemente, la propria visione narcisistica della realtà.
