Sono almeno dieci anni che l’umanità viene tirata per la giacca: da una parte ci stanno l’economia, la Finanza, Wall Street e soci che si strappano i capelli urlando che c’è la crisi, si rendono necessarie austerity, spending review di ogni tipo. Una crisi che ha lavorato ai fianchi lo Stato sociale fino a farlo crollare al tappeto. Dall’altra parte, all’altra estremità della giacca, naturalmente, il mondo fantasmagorico delle nuove tecnologie, il regno di Smartlandia, la Silicon Valley che ci ha promesso la felicità, convincendoci che possiamo avere tutto quello di cui necessitiamo con un solo clic.
Immaginiamola, allora, questa umanità, tirata da una parte e dall’altra, che si volta a destra e poi a sinistra, sconcertata, un po’ preoccupata, a volte euforica, a volte un po’ depressa. Sconcertata dal paradosso che permette a gente non ricca di avere privilegi (che sembrano quelli) di persone ricche; preoccupata perché molti servizi fino all’altro ieri garantiti dalle istituzioni pubbliche oggi sono raggiungibili solo con il crowdfunding o la sharing economy; euforica per il fatto di avere a disposizione un’App per ogni necessità, in qualsiasi momento o luogo; depressa, infine, boh, forse a causa dei rarissimi articoli simili a questo che puntano a smorzare l’euforia di cui sopra.
Vi ricordate lo spot della Apple del 1984? Quello in cui l’azienda di Cupertino assolda una lanciatrice di martello per colpire dritto in faccia il grande fratello di orwelliana memoria? È pazzesco pensare a come i lacci da cui certe tecnologie dicevano di volerci liberare assomiglino ai lacci con i quali ci stanno attualmente legando, giorno dopo giorno. Professavano la nostra liberazione dal controllo di un potere (politico?) e l’hanno sostituito con un nuovo potere, più subdolo, strisciante, sinistro. Insomma, ci hanno promesso la libertà togliendoncela forse definitivamente. Una svolta epocale che ci ha cambiati culturalmente, facendo terra bruciata di usi e abitudini della nostra passata quotidianità. Tutto questo facendo passare per positive e cool cose che a ben guardare, forse, saranno pure cool, ma proprio positive non sono.
Esempio? Vediamo… È di qualche giorno fa una notizia, strombazzata da tutti i media. In Svezia è stata abolita la carta moneta. Capito-come?! Basta con le banconote puzzolenti e macchiate e questi spicciolini che finiscono sempre in lavatrice. Gli svedesi, che civiltà! Loro sì che sono moderni, alti, biondi e l’anno prossimo vanno pure ai mondiali. Scherzi a parte, cosa vuol dire abolire il denaro tangibile? Semplice: che da oggi in Svezia è possibile sapere chi sta spendendo cosa, dove lo sta facendo e quando. Vi sembra poco? Più controllo di così…
Ma al caso svedese possiamo aggiungere altre più o meno recenti innovazioni che, stando a quanto ripetono gli slogan e gli uffici stampa, rendono la nostra vita “bellissima”. L’ultima sfornata di smartphone contiene una funzione di riconoscimento facciale; le automobili tendono ormai ad essere dotate di localizzatore gps; i gestionali delle nostre aziende stanno su cloud (cioè sul computer di un altro!); se prendiamo un aereo, compriamo un libro su Amazon, prendiamo un appartamento con Airbnb o un taxi con Uber risparmiamo un bel po’ di soldini ed evitiamo quei seccatori degli intermediari (librai, editori, tassisti, agenti immobiliari, gentaglia, insomma).
Ma quanta differenza c’è tra una vita regolata attraverso questi strumenti, “sorvegliata” verrebbe da dire, e quella vissuta con un braccialetto elettronico al polso?!
I signori della Silicon Valley dicono di avere a cuore le nostre vite e di desiderare più di ogni altra cosa l’uguaglianza tra le persone. Ispirati dal profeta Steve Jobs e da certe ritualità della religione, costoro si stanno ammantando sempre più di un’aura di democrazia, si fanno portavoce di una libertà di cui però si fatica ad individuare il profilo.
Con la nostra gentile, volontaria e non retribuita collaborazione, Facebook, Google, Amazon, Apple – eludendo tra l’altro tasse a go-go – stanno smartificando le nostre vite, stanno cioè traducendo in “dati” ogni nostra azione quotidiana: dalla corsetta mattutina all’apertura del frigorifero, dalla serata al cinema alla musica che ci piace ascoltare. Tutto questo mentre servizi tradizionalmente “pubblici“ come la scuola, la sanità o l’istruzione sono sempre più in crisi ed è spaventoso immaginare come potrebbero trovare una possibile eredità nel parafilantropismo di queste mega aziende private. La stessa politica tradizionale viene messa alle corde dalla cosiddetta “antipolitica” che, guarda caso, (vedi il caso del Movimento Cinque Stelle in Italia) fa della tecnologia il suo sommo, insostituibile, nonché unico strumento di democrazia.
Detto questo, tanto per non passare per luddisti della peggior specie, non possiamo certo negare che quella tecnologica resta una rivoluzione, è vero. Ma mentre una rivoluzione sociale o politica è sempre stata un fenomeno di gruppo per la quale è indispensabile relazionarsi con i propri simili, quella tecnologica è una rivoluzione meramente individuale, solipsistica, fomentata da un potere che più che come persone dotate di un’umanità ci vede come utilissimi fornitori di dati: docili galline d’allevamento che covano ognuna con gli occhi ficcati tutto il tempo nel proprio telefono. In attesa di depositare ovetti d’oro nei panieri di Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Tim Cook e tutti gli altri brillanti e magnanimi sovrani dell’innovazione tecnologica.