Nadia Baldo e il “bello” dell’industria

Nadia, ci potrebbe descrivere la sua professione?

Sono titolare di uno studio fotografico e mi occupo di fotografia pubblicitaria e commerciale, lavorando in particolare con aziende e agenzie di comunicazione. 

Ho cominciato la mia professione negli anni ’80, quando in Trentino il livello fotografico subiva i limiti di una provincia a vocazione sostanzialmente agricola e turistica. Io però osservavo il resto del mondo dove la qualità delle immagini era già altissima. Così, con il vantaggio di avere avuto una buona base grazie al mio maestro Silvio Dal Bosco e la voglia di imparare dai grandi fotografi pubblicitari, per me è stato abbastanza semplice introdurmi in questo ambiente. 

Ho incontrato la fotografia per caso: ero una ragazza un po’ ribelle che non voleva sottostare alle regole della famiglia, e mentre frequentavo l’Università mi sono messa alla ricerca di un lavoretto part time che mi concedesse anche un’autonomia economica. Così ho scoperto la fotografia, e ne sono rimasta completamente affascinata: il lavoretto temporaneo si è trasformato in una scelta di vita!

La sua opera è confluita nel libro “Il bello dell’industria”, una raccolta poetica di immagini suggestive che ritraggono scene e dettagli provenienti da diversi ambienti industriali. Come si caratterizza la sua visione poetica del mondo delle industrie? Come riesce a cogliere un’immagine artistica all’interno di un contesto molto tecnico che, ad un occhio inesperto, non trasmetterebbe alcun significato peculiare?

La gente si stupisce sempre moltissimo di questo aspetto del mio lavoro. Facendo fotografia pubblicitaria e commerciale, sono entrata in contatto fin da subito con le esigenze delle industrie, rimanendo affascinata dalla meccanica, dalle macchine e dalle lavorazioni industriali. L’elemento della bellezza è per me fondamentale in qualsiasi campo: è un’esigenza e la ricerco anche in ogni mia attività, perfino nella fotografia industriale. E la trovo sempre e sempre crea stupore. In certi contesti industriali, la bellezza è l’ultima cosa a cui si potrebbe pensare, ma se ci si concentra e si cerca di catturare immagini comunicative che siano rappresentative di ciò che il cliente vuole esprimere, si riesce ad incontrare anche tantissima bellezza. Direi che la mia è sì una visione poetica ma soprattutto un atteggiamento filosofico che, mescolato ad un occhio attento, si riversa nei miei lavori. 

Il mio approccio è sicuramente orientato a scattare immagini che siano belle oltre che utili, perché un’immagine con un contenuto interessante la si guarda, ma se il contenuto viene espresso in modo piacevole la si guarda con più interesse e più a lungo. Soprattutto nel caso della fotografia pubblicitaria questo dettaglio è fondamentale e rende l’immagine più “utile”.

Lei ha collaborato con la delegazione ADI Veneto/Trentino-Alto Adige in occasione dell’esposizione Time in Stone per Marmomac 2021. Come definirebbe il suo legame con ADI VTAA? E come valuta la sua esperienza sulla base delle collaborazioni avute finora?

Ho collaborato con ADI VTAA solo nell’occasione da lei citata, ma conoscevo già Marcello Cutino, il presidente di ADI VTAA, perché ho lavorato con lui e con la sua agenzia di comunicazione diverse volte. Marcello ha avvertito come naturale la mia collaborazione con l’Associazione, che accoglie progettisti e ideatori di quel design che io sono chiamata a descrivere e rappresentare al meglio e di cui la fotografia deve cogliere l’essenza. Un designer ha l’esigenza che lo spirito del suo lavoro venga capito e che ne vengano rispettate la bellezza e le caratteristiche in un contesto piacevole. La fiera del 2021 non mi ha offerto il set ideale che ovviamente era molto diverso da uno studio fotografico, ma credo che comunque, con pazienza e impegno, siamo infine riusciti a fare un buon lavoro, con una serie di immagini rispettose ed enfatizzanti degli oggetti stessi. E i dodici autori ce lo hanno confermato.

Come il suo lavoro si misura con il design? 

La mia specializzazione primaria è lo still life, la fotografia di oggetti. Sono appassionata di forma, luce e colore che rappresentano gli strumenti creativi, i pennelli con cui realizzo le mie immagini. Il design, dunque, è proprio il mio percorso, il mio punto d’arrivo, la mia vita: io non faccio design, ma lo fotografo. È un ambito contiguo al mio lavoro che mi appassiona, che si tratti di design di piccoli oggetti o di grandi macchine industriali.

In relazione alla repentina evoluzione delle tecnologie e, con esse, delle modalità espressive, come prevede si svilupperà il linguaggio fotografico nel futuro?

Innanzitutto sarà più donna. Finora infatti, nonostante tutto, la professione è campo soprattutto maschile e le donne sono dedite in buona parte a fotografia per privati, come new born, matrimoni etc. È una realtà incoerente con il presente: dal mio punto di vista questa è una professione molto femminile in tutte le sue specializzazioni. 

Altro aspetto determinante, la tecnologia fa passi da gigante e si muove velocissima. L’intelligenza artificiale è già operativa nei comuni strumenti quotidiani e non c’è più soluzione di continuità tra le notizie di nuove super-applicazioni. Nel breve periodo si prevede, ed è solo un minimo esempio, la commercializzazione di lenti a contatto che scatteranno foto indipendentemente dalla nostra volontà attivate dai neuroni cerebrali, stimolati dalle sensazioni di piacere. 

Non sono certo contraria alla tecnologia che, piuttosto, mi affascina. Io stessa, sfidando voci autorevolissime che ritengono che le immagini prodotte con uno smartphone siano “altro” rispetto alla fotografia, penso che ogni strumento sia utile, tanto che nella Associazione Culturale Andromeda di cui faccio parte propongo corsi di fotografia e video con lo smartphone. E lo faccio in un’ottica ben precisa.

Credo infatti che sia necessario appropriarsi del mezzo per non lasciare che la tecnologia ci deprivi di qualsiasi intervento personale riducendo il fotografare ad un’attività passiva, con il rischio di impoverire il linguaggio. Nel futuro, dunque, per non subire passivamente la tecnologia, sarà sempre più necessario vigilare per mantenere spazi di creatività, anche a livello professionale, in fotografia come in ogni strumento comunicativo. Con la possibilità di scattare più foto ci sarà dunque il bisogno di creare più nicchie di contenuti di qualità e di mantenere la nostra autonomia di pensiero, indispensabile per continuare ad essere individui creativi, pensanti e quindi liberi.

Condividi l'articolo su:
Avatar photo

Pubblicato da Tina Ziglio

Concetta (Tina) Ziglio è nata sulle montagne in una notte di luna piena. Anziché ululare, scrive per diverse testate e recita in una sgangherata compagnia teatrale. Il suo ultimo libro è il discusso “Septizonium” (Aleppo Publishing, 2019).