«Non sarà mica peccato, no? Anche il Cristo ne faceva largo uso».
«Ma non andava per cantine».
«Perché non c’era l’abitudine e poi lui non ne aveva bisogno, prendeva una brocca d’acqua e, voilà, ecco dell’ottimo cabernet, ma guarda la strada».
«So quel che faccio, tranquillo. Non penso però fosse cabernet, quello è nato dopo».
«Dicevo per dire. Poi non dimentichiamo che ne ha fatto diventare un simbolo. Qua devi svoltare, siamo arrivati».
«Zio è l’ultima, poi si torna a casa».
«Piantala, è stata tua l’idea del regalo particolare, a me bastava pure soltanto una bottiglia di quel vinello che mi hai regalato l’anno scorso. Ma tu mi regali sempre vino? Cosa sei, il diavolo tentatore?».
E detto questo scende dalla macchina e si avvia con passo incerto verso l’entrata della cantina.
«Tanto mica guido e quindi il bicchiere me lo scolo tutto, stai attento tu piuttosto che ti levano i punti». Frase detta già due volte e la terza è già nell’aria, sarà questione di minuti.
La signora che ci viene incontro si mostra subito gentilissima. Ci informa che la degustazione prevede l’assaggio di tre bianchi: trebbiano, malvasia, canaiolo. Io preferisco i vini bianchi, Zi’ Prete no e fa la faccia delusa.
Lo fermo con un’occhiata prima che possa aprir bocca, anzi, credo di poterlo fare invece il mio sguardo lo incrocia troppo tardi e allora eccola qua:
«Signora, noi gradiremmo qualche tipo di vino rosso, il bianco va bene per insaporire l’arrosto».
La signora smette di sorridere, lo guarda sul collarino bianco che gli spunta dal maglioncino:
«Qui solo bianchi, mi spiace», e gira i tacchi. Che non le piacciano i preti?
Può essere l’occasione buona per riportarlo alla sua canonica, ma mi fa notare che sono solo le cinque e il regalo di compleanno prevedeva una giornata in giro per cantine e che già ero andato a prenderlo all’una del pomeriggio che così si era giocato mezza giornata e che allora potevo anche dire quattro ore invece di fargli credere che… oh, basta! Non la smette più di recriminare mentre ci avviamo verso la macchina e c’è un solo modo per farlo smettere: cercare un’altra cantina, ma che sia l’ultima! Glielo dico e si rasserena o perlomeno chiude la bocca per un po’, ma soltanto qualche minuto.
«Se tuo nonno avesse avuto più terra avrei fatto il contadino e la vigna me la piantavo da solo, ma si era miseri e mi è toccato fare il prete». Ecco spiegata la vocazione di Zi’ Prete che, comunque, nonostante la pessima partenza, svolge la sua missione con passione, in mancanza di alternative.
Sto zitto, che potrei dire?, giro la macchina e via, verso nuove cantine. Mi è venuta scontata, ma ci sta che è una meraviglia.
La prossima la conosco personalmente. Ci ho fatto una mostra di fotografia con gli allievi del mio corso. Volevo evitarla perché mi toccherà tutta una serie di convenevoli, ma hanno il vino più buono dei dintorni ed è la mia ultima possibilità di fare felice Zi’ Prete, fratello maggiore di mamma Filomena, di padre pugliese e madre trentina. Ecco spiegato lo Zi’, che mi è sorto spontaneo la prima volta che ci siamo incontrati perché trasferito dal Sud in una parrocchia vicino al mio paese. Mai visto celebrare una Messa, però. Anzi sì, la messa al funerale di Zi’ Pino, una cosa lunghissima che la mia mente rimuove a momenti.
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Marco Maresti ci viene incontro ancora sul piazzale davanti alla cantina, ma deve essere un caso. Passava di là e ci ha visti, mica ci aspettava.
Grandi salamelecchi ingiustificati e poi un invito nel locale di rappresentanza dove già, sul tavolo, occhieggio pezzi di grana padano, patatine, e salamini.
Pinot nero, bene.
Cabernet Sauvignon, bene.
Merlot, mediocre.
Brut riserva con fetta di ciambella scaturita dalle amorevoli mani di Giulia, la moglie del Marco. Mirabile.
Zi’ Prete scola senza remore, io sto attento ai punti, e intanto chiacchiera di tutto e di più, lasciandosi andare a considerazioni che, forse, non sarebbe il caso di esternare. “In vino V…” No, non lo dirò, luogo comune troppo scontato, userò una perifrasi: il vino scioglie le menti e toglie le inibizioni. E sta succedendo questo e sento don Tullio-Zi’ Prete che straparla di Vaticano e di Governo, ma lui non può che diamine, lui deve stare sopra le cose terrene, lui si deve occupare dell’anima di tutti noi e de li mortacci sua.
Guardo l’orologio con fare ansioso e poi metto in scena la recita di quello che ha un appuntamento e se ne deve andare assolutamente. Zi’ Prete Tullio, il don, stranamente, mi segue docile senza obiezioni di sorta addurre. Mi sento un po’ strano mentre mi siedo al di guida posto, un attimo brillo e bene non va, per nulla.
Propongo una sosta appena fuori dal cortile, Zi’ Prete, e non sbaglio, russa già, con gli occhi semi aperti. Oddio sembra morto!, ma russa e quindi non lo è.
Mi accetto da solo la proposta della sosta e mi fermo in un viottolo di campagna appena fuori dal cortile della cantina. Mi devo riprendere. È stato il Brut. Brut di un Brut, ridacchio felice. Felice? Un po’ fuori.
Leggermente.
“Felice” è una grossa parola che non si addice alla circostanza. E per fortuna che mi sono fatto tre fette di ciambella, il don russa convinto e pago. Anzi, ho pagato? C’era da pagare? Me l’avrebbe detto il Maresti. Bella l’idea del regalo allo zio, per i settanta se lo meritava. Mi è venuta sapendo che lui adora il bicchiere, pieno di nettare di Bacco. Perbacco che sonnolenza, il don ha cambiato tonalità, ora è in do maggiore e la faccenda del vino è una gran bella cosa. Chissà chi sarà stato il primo; il primo primo, dico. Sicuramente l’ha scoperto per caso, gli è rimasta lì l’uva, è fermentata, magari ce l’aveva attaccata al soffitto, gli è colata addosso e ha sentito il sapore che gli piaceva. È andata così, mi sembra di essere lì. E poi è andato fuori dalla capanna o casupola, sicuramente non un castello per via dei soffitti troppo alti, e l’ha detto al suo amico e tutti ad attaccare l’uva su per i soffitti.
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«Che facciamo? Perché ci siamo fermati?», chiede Tullio, il fratello di Filomena che magari era anche bellino da piccolo, ma adesso neanche un po’ con quel naso grosso e rosso.
«Io dormo un po’, sai non voglio perdere punti. Me ne mancano pochissimi per avere il frullatore», ridacchio da solo perché l’ho capita solo io e un po’ mi dispiace perché era carina.
Zi’ Prete sta zitto, mi giro e ha richiuso gli occhi, peccato perché volevo chiedergli quale vino preferisse. Io il Pinot nero fra i rossi e i bianchi tutti, senza distinzione. Forse sono un arrosto da insaporire e non lo so.
Riprende la musica al mio lato destro, questa volta è un sibilo, come il vento che si va ad annidare fra le travi del soffitto dove è appesa l’uva. Ma così la secca! Pazienza. La signora Giulia la metterà nella ciambella e poi il marito stapperà il Brut e io lo non berrò perché ora dormo un po’.
“Bibit clerus, bibit illa, bibit servus cum ancilla”
Mi ronza nella testa, ma non mi è chiaro chi sia il servo e chi sia l’ancella.
Per il resto ci siamo.
Quasi.