Il coraggio di immaginare un futuro

Adele, seduta sul suo vecchio divano, quando la televisione faceva vedere scene di guerra, da qualsiasi parte del mondo provenissero, diceva solo quattro parole: “Pori fioi, pore madri”. Non importava chi fossero i militari inquadrati, quale fosse l’esercito o la parte di cui parlava la televisione. Non importavano i motivi, le ragioni, i precedenti. 

Lei sapeva, aveva visto la guerra. “Pori fioi, pore madri”. Sapeva sì, delle eroiche partigiane e del loro contributo fondamentale che ha aperto le porte dell’Assemblea Costituente e, poco dopo, ha condotto le donne italiane al voto. Sapeva altresì delle donne in giro per il mondo che, loro malgrado, combattono nel perimetro degli eventi determinati dagli uomini. Eventi che esaltano la disuguaglianza di genere e ricacciano indietro la libertà.

Ma Adele conosceva anche la storia parallela delle altre donne, quell’esperienza umana collettiva destinata a ripetersi ad ogni conflitto, quel mondo femminile fatto soprattutto di madri, nonne, cognate, suocere e nuore protagoniste della battaglia per la sopravvivenza. 

Parliamo ad esempio del quotidiano combattimento compiuto in solitudine e con l’ansia per gli uomini al fronte, per non parlare degli altri pericoli, per mandare avanti la famiglia e trovare qualcosa da mettere sul tavolo. Minestre di ortiche, di radici, di rape. Burro e sapone fatti in casa. Un avanzo per gli animali buttato lì, con una leggerezza inverosimile. Baratto, scambio, nascondigli, favori. Mercato nero, farina nera per la polenta. Pane nero. Donne che negli anni hanno tirato su figli, nipoti, accudito vecchi, cibato, curato e pulito intere generazioni, salvando il futuro e l’anima. Parliamo di gesti di solidarietà verso i vicini, verso chi scappa, compiuti disinteressandosi delle casacche, delle bandiere, degli attriti con il terrore delle bombe sotto la pelle ma continuando a sorridere ai bimbi dagli occhi impauriti.

Ogni volta di fronte alle immagini delle carovane di profughi che, a piedi o con mezzi di fortuna, si caricano di figli, bagagli e ansia e partono verso il confine scappando dalle bombe, senza una meta se non quella della salvezza, Adele dice solo quattro parole: “Pori fioi, pore madri”. 

Perchè lei sa che ci vuole un coraggio immenso a scappare, opponendosi silenziosamente alla rotta sbagliata della storia. Scappare dalle case, dalle strade, dalle radici con i piatti vuoti, le speranze infrante per non lasciar vivere ai figli la guerra. Ci vuole un coraggio immenso a immaginarsi un futuro, a non arrendersi all’orrore.

Lei sa che dall’altra parte le madri aspettano notizie dei figli che hanno imbracciato le armi, innalzando cartelli come ceri davanti all’altare della ragione e della pietà, sa che nessuna di loro vorrebbe vederli partire per andare a morire, per nessuna patria, per nessuna guerra. Ricorda i volti delle donne intente ad offrire qualcosa da mangiare o bere ai prigionieri di guerra. Conosce quel sentimento in grado di valicare i confini, quell’amore e tenacia incontenibili, più forti di qualunque carro armato. Lei sa che grazie alle taciute regole del matriarcato non c’è stato quasi mai bisogno di alcuna pacificazione perché loro, le donne, alla fine, non hanno mai dichiarato guerra a nessuno.

La nonna Adele aveva la terza elementare, sbagliava tante cose: a scrivere, a fare di conto. E so che ancora una volta, con il volto incredulo tra le mani, direbbe solo quattro parole: “Pori fioi, pore madri”. Adele sbagliava molte cose, non sapeva nulla di geopolitica ma uno sbaglio nelle lezioni che ha dato per vivere, non lo ricordo.

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Pubblicato da Denise Fasanelli

Mamma insonne e sognatrice ad occhi aperti. Amo la carta, la fotografia e gli animali. Ho sempre bisogno di caffè. Non ho bisogno di un parrucchiere, d’altronde una cosa bella non è mai perfetta. Ho lavorato nel campo editoriale, della comunicazione e mi sono occupata di marketing per alcune aziende. Ho pubblicato un libro insieme all’ex ispettore Pippo Giordano: “La mia voce contro la mafia”(Coppola ed. 2013). Per lo stesso editore, ho partecipato, in memoria dei giudici Falcone e Borsellino, al libro “Vent’anni” (2012) con un racconto a due mani insieme all’ex giudice Carlo Palermo.