Il dolce suono di un pianoforte

Anastasiia corre a casa veloce nel buio della notte. È una fredda sera di novembre e i suoi passi sono illuminati dai fiochi lampioni. Il suo cuore batte all’impazzata e il silenzio del lungomare marchigiano in novembre, quando i gagliardi turisti estivi sono tornati a rintanarsi nelle loro tristezze di cemento, è tagliente. I rivoli di sudore iniziano a scenderle dalla fronte per poi mescolarsi alle lacrime copiose.

Improvvisamente ritorna con la mente alla campagna ucraina. Le urla di sua nonna, le botte di suo padre, le carezze di sua madre. Lei che corre per non far tardi dopo una lezione di piano nella chiesa del paese. Amava suonare, far scivolare velocemente le sue mani sopra ai tasti, prima in modo meccanico poi sempre più naturalmente. Non sapeva le note. Sapeva unicamente che, quando si sedeva sullo sgabello di paglia, i suoi sentimenti esplodevano e attraverso la pressione delle sue dita sopra ai tasti riusciva ad esprimere tutta la bellezza che sentiva dentro di lei. Era l’unico momento di gioia per Anastasiia. Per il resto era un continuo lavorare, un sottostare al bere di suo padre, al dolore di sua madre, al mal di schiena dopo aver lavorato fino a sera nei campi. L’unico svago e piacere della sua vita era quell’ora a settimana di pianoforte.

Il suono acuto di un clacson la riportò alla realtà. Divagando nei pensieri non si era accorta della presenza di una macchina invadendo quasi la carreggiata. Aspetta, una macchina! Avrebbe potuto chiedere aiuto, avrebbe dovuto farlo. Fermare quella persona, raccontare delle botte, del pericolo, della fuga. Ma ormai era già svanita. E non c’era più nonna, non c’era più la campagna, non c’era più il pianoforte. C’era solo la guerra, il dover scappare, il dover iniziare una nuova vita da capo.

Aveva conosciuto M. nel ristorante dove faceva la cameriera. Era appena arrivato dall’Egitto ed aveva appena iniziato a lavorare nel suo stesso locale. Si era innamorata immediatamente. La promessa di una nuova vita: un’esistenza semplice, una famiglia, dei figli da poter amare. E il primo bambino arrivò poco dopo. Non fece nemmeno in tempo nel vederlo crescere che scoppiò la guerra. E fu subito un nuovo dover ricominciare. Nuova vita, nuovo ambiente e nuove persone. Trovò un lavoro da cameriera e si mise pure a dare lezioni di pianoforte. Nel frattempo M. non reagì altrettanto bene. Non trovò lavoro, si scoraggiò e iniziò a perdere la ragione. Anastasiia era spaventata, non aveva mai visto M. così. Non c’era alcuna alterazione chimica nel suo corpo, per motivi religiosi infatti non beveva. E forse era questa la cosa che la atterriva maggiormente. Il non avere un mostro con il quale combattere, come una sostanza esterna, e di conseguenza accettare che il mostro era proprio il padre di suo figlio.

Con la forza di disperazione, forse per il bene del suo bambino più che per il suo, riuscì ad andare a denunciarlo e ad andarsene di casa con il bambino. I carabinieri di Fano presero la questione in carico come l’ennesima denuncia del genere. Non con sufficienza, ma come se l’elevato numero di episodi simili in qualche modo avessero contribuito ad una certa normalizzazione del fenomeno. Qualche giorno dopo Anastasiia andò a casa del marito per riprendere dei vestiti. E la reazione di M. fu senza precedenti.

Ed ecco che si ritrovò sul lungomare, alle dieci di sera, a correre a perdifiato. Improvvisamente la strada dinnanzi a lei si illuminò e le si gelò il sangue. Capì subito tutto e tutto si fece buio. Fu ritrovata la mattina seguente con diversi segni di coltellate. Nella sua vita riuscì a resistere a ogni dolore: dalle botte del padre al dolore silente di sua madre, dalle bombe al suo primo matrimonio disastroso. Continuò a resistere con il suo sogno nel cassetto: suonare, suonare per poter esprimere il turbinio di emozioni che la travolgevano. E in fondo, forse, fu proprio questo suo resistere a risultarle, infine, fatale.

In fuga dalla guerra

La mattina del 14 novembre 2022, nella campagna marchigiana, viene rinvenuto il corpo di Anastasiia Alashri, profuga ucraina di appena 23 anni. Scappata dalla guerra, si era trasferita a Fano insieme al suo bambino di appena due anni e al marito. Proprio quest’ultima verrà indicato come l’esecutore materiale dell’omicidio.

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Pubblicato da Fabio Loperfido

Nato allo scadere del millennio, Fabio è uno studente errante che ancora non ha ben chiaro cosa potrebbe volere il mondo da uno come lui. Nel mentre prova ad offrire ciò che vede con i suoi occhi tramite una sua lettura, con la speranza che il suo punto di vista possa essere d'aiuto a qualcuno martellato dai suoi stessi interrogativi.