Il Duca bianco racconta se stesso

Dovendo immaginare un film fatto da David Bowie per raccontare se stesso, probabilmente ci si avvicinerebbe molto a un risultato come “Moonage Daydream” di Brett Morgen. Presentato in anteprima al Festival di Cannes lo scorso anno e uscito in sala per un brevissimo lasso di tempo, il documentario sul Duca Bianco approda ora su Amazon Prime Video. E se è indubbio che l’esperienza varrà la metà sul piccolo schermo di casa, stavolta ancora più che per qualsiasi altro caso, è anche indubbio che, quanto meno per i fan, si sia di fronte ad un film da non lasciarsi sfuggire. Nato da un lavoro di quattro anni e unico, ad oggi, prodotto cinematografico ufficialmente autorizzato dagli eredi di Bowie, “Moonage Daydream” è infatti tutto fuorché il classico documentario musicale, tutto fuorché il tradizionale biopic, ormai un po’ inflazionato, da “Bohemian Rapsody” in avanti. Non siamo di fronte, insomma, al solito tentativo di raccontare una star e di farlo con quello spirito agiografico e patinato a cui il genere ci ha abituato, anzi. L’obiettivo è qui quello di provare a trasporre, per mezzo dell’audiovisivo in tutta la sua più ampia completezza, una personalità poliedrica, una carriera musicale sfaccettatissima, una mente curiosa e nutrita dalle più disparate influenze, un uomo e artista che si è sempre continuamente reinventato. 

Un progetto, quello di Morgen, subito reso chiaro allo spettatore: il film si apre con una doppia riflessione, portata avanti dalla voce fuori campo di Bowie stesso, che cita pensieri di Nietzsche sul senso della vita (“Tutte le persone, non ha importanza chi siano, sperano di apprezzare di più la vita, ma è cosa fai nella vita che è importante e non quanto tempo hai o cosa desideravi fare. La vita è fantastica”) e sul tempo (“Tutto è transitorio. Ha importanza? Mi interessa?”). Riflessioni che trovano immediato contraltare nelle note martellanti di “Hallo Spaceboy”. Parte così un’esperienza, un viaggio “dentro” David Bowie, un profluvio senza spiegazioni narrative e senza linearità alcuna, di suoni – il tappeto musicale si compone di ben 48 canzoni, colori e immagini: dagli spezzoni di archivio inediti, agli esperimenti video-artistici del cantante, ad ancora sequenze banalissime di attese aeroportuali e sigarette fumate, fino ad arrivare a stralci di pellicole cinematografiche che sono state influsso della personalità, privata e artistica, di Bowie (da “Un cane andaluso”, a “Scarpette rosse”, fino a “Arancia meccanica” o “8 ½”). Infine non mancano, qua e là, tra dichiarazioni spiritose, pensieri sovversivi e citazioni letterarie, i molti molti autori e artisti che il cantante inglese ammirava (da Jack Karouac, al già citato Nietzsche, a Picasso, Pollock e altri). Un film da vedere, ormai che lo si potrà fluire solo a casa, ad altissimo volume, nel tentativo di perdercisi il più possibile.

L’alieno che provò a salvare la terra

“L’uomo che cade sulla Terra”, citato anch’esso in “Moonage Daydream”, è il film del 1976, diretto da Nicolas Roeg e tratto dal romanzo omonimo di Waler Tevis, fu il primo (accreditato) lungometraggio in cui Bowie recitò. Tra le tante strade artistiche che percorse, infatti, ci fu anche quella attoriale, in una carriera vastissima, tra grande e piccolo schermo, tra parti da protagonista e piccoli cammei, molto spesso dimenticata. Nessuno tuttavia scorda mai la sua parte nei panni dell’alieno sceso sulla Terra per salvarla dall’imminente distruzione, così perfettamente calzante con la sua aura magnetica e col suo passato da Ziggy Stardust. Bowie coincide a tal punto, nell’immaginario collettivo, col magro emaciato Newton, da essere diventato immagine di copertina nell’edizione Minimum Fax del romanzo originale. 

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Pubblicato da Katia Dell'Eva

Laureata in Arti dello spettacolo prima, e in Giornalismo poi, nel quotidiano si destreggia tra cronaca e comunicazione, sognando d’indossare un Fedora col cartellino “Press” come nelle vecchie pellicole. Ogni volta in cui è possibile, fugge a fantasticare, piangere e ridere nel buio di una sala cinematografica. Spassionati amori: Marcello Mastroianni, la new wave romena e i blockbuster anni ‘80.