Nel 1456, Johannes Gutenberg, il visionario che aveva dato al mondo la stampa a caratteri mobili, si trovò improvvisamente avvolto dalle ombre del destino. La causa legale persa contro il suo socio d’affari, Johann Fust, lo spogliò del controllo della sua amata stamperia, come se il destino stesso gli avesse sottratto il calice della sua creazione. E così, colui che aveva spalancato le porte della conoscenza all’umanità, veniva privato della sua stessa invenzione. Una parabola beffarda del potere e della perdita.
Senza i prestiti di Fust, Gutenberg non avrebbe mai potuto sostenere gli immensi costi della sua rivoluzione tipografica. Ma la cessione della tipografia e di tutte le attrezzature a Fust e al suo astuto assistente, Peter Schöffer, non riuscì a spezzare l’animo indomito del tipografo.
Nove anni dopo, come un alchimista in cerca della pietra filosofale, Gutenberg si trasferì a Magonza. Qui, trovò il sostegno dell’arcivescovo Adolf II di Nassau, che gli concesse una pensione generosa: uno stipendio annuo, abiti, rifornimenti di grano e vino. Un elisir di supporto finanziario che ridiede vigore alla sua esistenza e lo rimise in grado di esercitare quel dono che egli stesso aveva portato al mondo, ma di cui forse ancora non intuiva appieno l’immensità: la stampa e la libertà ad essa intrinseca. Ogni invenzione, ogni scoperta, ne porta una con sé; una potenzialità d’uso che riflette le profondità etiche e morali dell’animo umano.
Un martello, strumento di costruzione e creazione, può diventare un’arma letale nelle mani sbagliate. Così, un social network, mezzo di connessione e dialogo, se usato perversamente, può distruggere reputazioni, offendere, diffamare e persino rovinare vite intere. Nella dialettica infinita tra luce e ombra, tra creazione e distruzione, ogni invenzione svela insomma la sua duplice natura, invitandoci a riflettere sulle responsabilità che essa comporta.
Non c’è che dire: l’idea di utilizzare caratteri mobili in metallo per creare pagine di testo stampate era un lampo di genio, un fulmine che, in un certo senso, squarciava le tenebre dell’ignoranza. Eppure, come ogni grande scoperta, apriva scenari nuovi e imprevisti. La rivoluzione tecnologica che per la prima volta permetteva la produzione di libri e documenti in modo rapido ed economico, portava con sé il potere di diffondere idee e sapere come mai prima. La stampa divenne subito uno strumento di potere, un artefatto di luce, ad esempio nelle mani di Martin Lutero e degli altri riformatori, che usarono volantini e libri come saette contro l’autorità monolitica della Chiesa cattolica.
Tuttavia la vera incarnazione della libertà di stampa prese forma concreta solo durante l’Illuminismo del XVIII secolo. Filosofi come Voltaire e John Locke alzarono la voce contro il silenzio imposto dallo Stato, reclamando il diritto di esprimere e diffondere idee senza interferenze. La stampa libera si eresse così come un baluardo contro l’oppressione, promuovendo il dibattito pubblico e il progresso sociale. Al di là dell’oceano, invece, il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, ratificato nel 1791, sancì solennemente che il Congresso non avrebbe fatto leggi per limitare la libertà di stampa.
Nel XIX secolo, la libertà di stampa continuò a espandersi, nonostante le resistenze. Movimenti per i diritti civili e sociali utilizzarono la stampa per promuovere le loro cause, mentre i governi autoritari cercavano di controllare e censurare. Nel XX secolo, la radio, la televisione e, successivamente, Internet, trasformarono radicalmente il panorama dei media. La libertà di stampa divenne un principio sancito in numerose costituzioni e trattati internazionali, come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite del 1948.
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Cinquant’anni dopo arrivò Internet e tutto cambiò nuovamente. L’avvento dei social media democratizzò l’accesso all’informazione ma, come un virus mutante, creò nuovi, inediti problemi. Fake news e manipolazione dell’opinione pubblica attraverso algoritmi e bot diventarono ben presto armi di distruzione del pensiero. Sul web si poteva dire tutto e il contrario di tutto. Si stava dunque realizzando la profezia di G. K. Chesterton che nel 1905 aveva prefigurato una “grande marcia della distruzione intellettuale” ove “tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo”.
Il web, con la sua promiscuità, permise a una miriade di voci e opinioni di emergere. Giornalisti indipendenti, blogger e citizen journalist potevano pubblicare contenuti senza passare attraverso i canali (e i controlli) tradizionali. Ma questo nuovo Eden portava con sé pericoli ancora sconosciuti. Fake news che potevano influenzare elezioni politiche, media che favorivano contenuti sensazionalistici o clickbait a scapito del giornalismo investigativo e di qualità. Le grandi piattaforme tecnologiche, Google e Facebook, come dèi moderni, di fatto iniziarono a “decidere” cosa era degno di nota e cosa no. L’aumento dei contenuti gratuiti mandò in crisi il sistema informativo tradizionale, riducendo le entrate pubblicitarie e quindi, conseguentemente, abbassando il livello di professionalità delle redazioni. Ma non è tutto.
I regimi autoritari, tanto conclamati quanto subdoli, come certi ottusi tiranni dell’antichità, si accorsero di poter utilizzare la tecnologia per monitorare, censurare e reprimere giornalisti e siti di notizie indipendenti. Se nel 1922, Walter Lippmann aveva scritto – nel saggio “Public Opinion” – che la stampa era “il cane da guardia del Potere”, quel “cane” ora rischiava seriamente di diventare un docile cagnolino da passeggio, all’ombra di una verità oggettiva sempre più ridotta a una soggettiva versione dei fatti, e l’autorevolezza dei giornalisti a una sorta di speciale concessione governativa.
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Ma arriviamo ai giorni nostri. Per la libertà di stampa le cose si sono di molto complicate con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale, una sorta di creatura cibernetica capace di “ragionare”. Come un’antica divinità risorta, l’IA viene osannata come il grande strumento di democrazia del nostro tempo. Si proclama con fervore che il suo utilizzo per la produzione di articoli e contenuti abbatterà i costi, permettendo anche alle piccole testate giornalistiche di competere e mantenere la propria indipendenza. L’IA, con la sua capacità di analizzare vastità oceaniche di dati, promette di scoprire storie nascoste, di illuminare gli angoli bui della realtà e di rafforzare la libertà di stampa tenendo “sotto controllo” il potere. Gli algoritmi possono monitorare tentativi di censura, segnalare manipolazioni dei dati, difendere la libertà di informazione come fedeli guardiani di un tempio sacro.
Ma come ogni creatura mitologica, anche l’IA rivela un altro volto: una faccia oscura e inquietante che riduce in cenere le speranze suscitate. Le piattaforme dei social media si servirono di algoritmi per moderare i contenuti, e fin qui nulla di male. Ma, come un martello da utensile che può diventare un’arma micidiale se mal gestito, anche quegli algoritmi possono – con o senza un intervento umano – favorire un determinato punto di vista, impedendo alla verità di emergere in tutta la sua oggettività. È un po’ come vedere Gutenberg privato della sua invenzione dalla sentenza di un giudice. Tutto ad un tratto, senza essercene quasi resi conto, ecco che la libertà di stampa e quella di opinione sono nuovamente in grave pericolo, sospese in un limbo di incertezze.
Gli stessi utilissimi strumenti tecnologici possono essere usati per disinformare e fare propaganda. Dall’antica Roma al nazismo, dalla Persia di Ciro il Grande alla Russia di Stalin e all’America del Maccartismo, l’arte di ingannare le masse distorcendo la realtà non è mai stata così praticabile. E la minaccia non riguarda solo il giornalismo, ma anche il giornalista come individuo, come investigatore della verità. Forse sono ancora in pochi ad averla letta in questi termini, ma, usata impropriamente, l’IA consente al Potere di disporre di una sorta di raffinato controspionaggio, una sorveglianza e un saccheggio dei dati personali, con tanto di profilazione psicografica e propaganda mirata all’autocensura, che possono intimidire irrimediabilmente il cronista, condannandolo nei casi più gravi al silenzio. Si tratta di una forma di repressione pulita, che non prevede uccisioni o sparizioni, non esige il clamore delle indagini e dei processi. Le è sufficiente sfruttare a proprio vantaggio informazioni sulla vita privata della vittima.
Nel 2010, Julian Assange fu oggetto di un’indagine in Svezia per presunti reati sessuali, accuse ritirate solo nel 2017. La giornalista investigativa azera Khadija Ismayilova, che aveva scavato nelle storie di corruzione e abusi di potere nel suo paese, venne arrestata nel 2014 e condannata per presunti reati finanziari, visti da molti osservatori internazionali come politicamente motivati. La cronista colombiana Jineth Bedoya Lima fu rapita e aggredita sessualmente nel 2000 mentre lavorava su una storia di traffico di armi e droga. Il giornalista americano David Sirota, noto per le sue inchieste sulla corruzione politica e finanziaria, riferì di essere stato soggetto a intimidazioni e minacce online. E lo stesso accadde al suo connazionale Glenn Greenwald, coinvolto nella pubblicazione delle rivelazioni di Edward Snowden sulla sorveglianza di massa della NSA.
Ma non sono solo le campagne di disinformazione a preoccupare la categoria. L’IA può analizzare grandi quantità di dati provenienti da varie fonti, come social media, email e telefonate, per monitorare le attività e le comunicazioni dei giornalisti. Questo può essere usato per identificare le voci dissidenti e, se necessario, intimidirle facendo sapere loro che sono sotto controllo. Inoltre, considerato che i sistemi di IA possono prevedere potenziali attività criminali analizzando i modelli di comportamento, è facile immaginare come questa tecnologia potrebbe essere usata in modo improprio per prendere di mira i giornalisti; ad esempio, detenendoli preventivamente in base alle loro attività e associazioni.
Analizzando le possibilità più tecniche, oggi ci sono molti modi per minare la credibilità di chiunque, quindi anche di un giornalista: deepfake, troll e bot automatizzati possono inondare i social media di informazioni false, molestare online e creare un ambiente ostile.
In ultimo, i regimi che si sentono “attaccati” dalla stampa libera possono mettere in campo azioni legali automatizzate, difficili da contestare a causa del loro volume e della loro raffinatezza. O ancora, i sistemi di IA possono prendere di mira le attività finanziarie delle organizzazioni mediatiche e dei giornalisti, interrompendo i finanziamenti o l’accesso ai servizi finanziari per paralizzare le loro operazioni. Per fare solo un paio di esempi, sono in molti a sostenere che il governo cinese utilizza l’IA per una vasta sorveglianza, compreso l’uso di tecnologie di riconoscimento facciale e sistemi di credito sociale, che possono essere utilizzati per monitorare e intimidire i giornalisti. In Russia, campagne di disinformazione guidate dall’IA e fabbriche di troll sono state utilizzate per manipolare l’opinione pubblica e screditare i giornalisti sia a livello nazionale che internazionale.
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La libertà di stampa naviga dunque in acque tempestose, minacciata da onde di sorveglianza e manipolazione, rischiando di trasformare in un relitto quella che una volta era la portaerei della democrazia.
Certo, mette un po’ i brividi pensarlo, ma se l’uso dell’Intelligenza Artificiale a scopo intimidatorio fosse stato realtà trenta o quarant’anni fa, probabilmente molti giornalisti investigativi sarebbero ancora tra noi, silenziati ma vivi. Pensiamo a figure come Gary Webb, Danny Casolaro, Anna Politkovskaya, o alla stessa Daphne Caruana Galizia. Eppure, sebbene risparmi vite umane, questo approccio minaccia profondamente la società aperta e il diritto dei cittadini di essere informati in modo imparziale e accurato. L’IA, con il suo occhio vigile e la sua mente fredda, può monitorare le attività online dei giornalisti, identificare possibili “minacce” per il regime e manipolare il flusso di informazioni per promuovere la propaganda governativa.
In questa distopia silenziosa, diffondendo disinformazione e manipolando l’opinione pubblica, rendendo ancora più difficile per i giornalisti distinguere la verità dalla propaganda, l’IA diventa un’arma a doppio taglio. I confini della realtà si confondono, e il mondo stesso diventa un labirinto di specchi, dove ogni riflesso può essere una menzogna.
Come contrastare questa minaccia? Innanzitutto è essenziale che la comunità internazionale e le organizzazioni per i diritti umani si uniscano per continuare a promuovere la libertà di stampa, vetusto ma non obsoleto bene prezioso dell’umanità, che non dovrebbe mai essere dato troppo per scontato. Occorre inoltre difendere i giornalisti minacciati e sviluppare strumenti tecnologici per proteggere la privacy e la sicurezza online. Normative più rigorose devono essere adottate per regolare l’uso dell’IA nei contesti governativi, garantendo che venga impiegata in modo etico e responsabile, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Così come, privato della sua facoltà, Gutenberg escogitò di rivolgersi all’arcivescovo di Magonza, oggi i giornalisti devono appellarsi agli organi sovranazionali preposti, implorando di bloccare, regolamentandolo con attenzione, l’uso di qualsiasi strumento tecnologico mirato al controllo sociale, alla censura e all’intimidazione. È necessario garantire l’indipendenza e l’oggettività dei mezzi di informazione, per difendere valori universali come la dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo Stato di diritto e i diritti umani.
In questo scenario, si staglia una conclusione necessaria: la lotta per la libertà di stampa non è solo una battaglia per la verità, ma una lotta per l’anima stessa dell’umanità, antica e senza bandiere. Assente una stampa libera, le voci si spengono, le storie svaniscono e la luce della conoscenza rischia di essere soffocata dall’ombra dell’oppressione. Come antichi custodi di un fuoco sacro, è dovere di tutti – giornalisti e non – proteggere questo prezioso baluardo della democrazia, garantendo che il suo bagliore continui ad illuminare il cammino verso un futuro più giusto e libero.