Quali porte si possono o si devono attraversare per approdare alla Luce? O all’indefinibile presenza di Dio? La risposta dell’ortodosso Pavel Florenskij (1882-1943) sarebbe immediata: le Porte Regali dell’icona. Pavel Nikolàjevic Evdokimov (1901-1970) rimarca l’importanza della cultura dell’icona come testimonianza della verità dell’uomo e come luogo della presenza ineffabile di Dio. Ambedue, camminando incerti verso la fine del secondo millennio, trovavano valida ispirazione per la loro ricerca della bellezza nell’icona vissuta come porta regale per inoltrarsi nello spazio trascendentale.
Qualcuno invece ha percorso una strada inusuale per avvicinarsi – quindi non per raggiungere, aspirazione e obiettivo al di là delle capacità umane – ad una libertà imperfetta, ad un Divino materializzato al fianco degli oppressi: Simone Weil (1909-1943). Di famiglia ebrea (per lei Dio rimarrà sempre al di là di ogni possibile avvicinamento), eterna fuggiasca da ogni schematismo e da ogni ideologia, abbracciò una sorta di misticismo anarchico che l’ha condotta a provare esperienze profonde al di là di ogni impeto religioso, accompagnata per anni dalla morte che gli ha camminato a fianco, non delegando mai ad alcuna istituzione politica né ecclesiastica il suo desiderio d’Amore: la croce è la nostra patria.
Soprattutto Simone Weil ha percorso, per avvicinarsi all’Amore Divino, un sentiero tortuoso ma inedito per una mistica, filosofa, teologa cristiana, che soltanto pochi hanno saputo interpretare, capire, abbracciare (tra i pochi annoveriamo la poetica e spirituale Cristina Campo): l’incursione nella filosofia greca. La maggior parte dei studiosi del tempo – ma ancor oggi a sentire il suo nome storcono il naso – hanno rigettato questo camminare in una foresta dove gli alberi sono radicati nel cielo, hanno rifiutato se non condannato questa originale ma vissuta ricerca del riflesso dello spirito greco nel Vangelo. Eppure l’antica cultura greca ha saputo esprimere una spiritualità che sfiorava le tempestose cime dell’Olimpo e del Parnaso sconfinando nell’infinito. Perché, pensa la Weil, non riscoprire questa spiritualità? Perché non restituire ai Padri della Chiesa, quindi al primo cristianesimo, quello vero, l’influenza trasmessaci dai vertici del pensiero, dell’arte e della scienza dei Greci? Ecco quindi La rivelazione greca (pubblicata, come quasi tutti i suoi testi, da Adelphi), un insieme di scritti, abbozzi, appunti che l’autrice ha dedicato, nel periodo compreso tra il 1936 e il 1943, alla civiltà greca. Ciò che l’aveva colpita dell’antica cultura è la forza che attraversa certi personaggi come Achille, una forza capace di trasformare l’uomo, la stessa forza che ha avvinghiato e trascinato i primi cristiani nell’avventura di una nuova religione che, al tempo e per i primi secoli, fu una vera e propria controcultura, apportatrice di profondi valori distillati dal confronto con altre culture e altre idee. L’Anima, direbbe James Hillman, l’Anima che imponendosi sul reale riesce a sfuggire al reale per trovare un contatto mistico con Dio.
Nell’antica Grecia la Weil trova soprattutto il senso del castigo, un castigo che punisce inevitabilmente chi abusa della forza e del proprio potere, una lezione questa quanto mai attuale. L’Iliade è il primo esempio della riflessione dei greci sull’errore, sullo sbaglio, sulla prevaricazione e le sue conseguenze: la guerra di Troia insegna. Ma non si accontenta della saga omerica, si rituffa in Platone, in Eschilo, in Euripide e il titolo del saggio Dio in Platone e Discesa di Dio sono esemplari per il suo cammino ascetico che aspirava al bene puro, assoluto e pur di raggiungere queste mete inarrivabili era disposta ad affondare la mente e le mani nelle spiritualità “altrui”, trovandovi stimoli, insegnamenti, innamoramenti che la avvicinavano o almeno le permettevano di sfiorare con delicatezza e riverenza la luce divina.
Ecco la vera fede: il credere che le scienze del mondo, tutte le esperienze, possono essere vissute come potenziali strade per sfiorare le verità e la scienza greca è un esempio di come si possa aspirare all’Aghìa Sofìa, la Santa Sapienza, abbandonando le contorte e svilenti strade del materialismo.