Il sogno aereo di Guido Moncher

L’11 novembre 1945, moriva a Vienna, pressoché dimenticato, Guido Moncher. Era nato a Coredo, in Val di Non, anni prima e nei primi venti anni del ventesimo secolo si era messo in luce per la sua vita intensissima, fitta di avvenimenti. Era stato un uomo dall’intelligenza multiforme e pionieristica: nel 1902, a trent’anni, era divenuto proprietario a Trento della “Tipografia Artistica Tridentina” in cui, tra le altre pubblicazioni, si stampava il quotidiano “Il Popolo” di Cesare Battisti. L’anno seguente eresse nel capoluogo un elegante palazzo ad angolo tra Via Mantova e Via Oriola, andandovi ad abitare sin dopo la Grande Guerra. Vi aveva aperto su più piani l’emporio “Al Buon Mercato”, un negozio in largo anticipo sui tempi, in cui si vendeva a prezzo economico abbigliamento maschile confezionato. Divenuto cittadino di Trento, questo noneso, che non si era arricchito con la politica o con i pomari (che allora non c’erano nella sua valle), ma con idee all’avanguardia, divenne il comandante dei Vigili del Fuoco della città (era a Milano nel 1906 al Congresso Internazionale dl Prevenzione e Estinzione Incendi). Cinque anni dopo, essendo un appassionato di musica, aveva fondato la Società Musicale Cittadina “Giuseppe Verdi”, da cui nascerà poi la Banda Cittadina di Trento. Basta così o c’è dell’altro? C’è ancora molto: la sua componente più geniale. Dopo essere stato un pioniere dell’automobile (c’è una foto che ce lo mostra a 28 anni, alla guida di una “carrozza a motore”, una Puch Voulturette del 1900), Guido fu un pioniere dell’aeronautica. Era il 1909 quando – tra altri celebri aviatori – c’è notizia che prese parte al Circuito Aereo di Brescia, una delle prime competizioni aeree internazionali del mondo. Tra le migliaia di spettatori che guardavano  le evoluzioni di quei meccanici insetti volanti, schermendosi dal sole con una mano e impugnando binocoli con l’altra, c’era anche un ventiseienne praghese, ebreo di madrelingua tedesca, un giovane ancora sconosciuto scrittore tubercolotico, arrivato da Trieste dove abitava dall’anno precedente, impiegato all’Istituto di Assicurazioni contro gli Infortuni per il regno di Boemia e Praga. Si chiamava Franz Kafka… Come e dove Moncher aveva imparato a pilotare un aereo dato che non esistevano ancora scuole d’aviazione? Vallo a sapere. Si sa in ogni caso che quell’anno incrociò la sua esistenza con quella del grande pioniere mondiale dell’aviazione, Gianni Caproni, trentino come lui. Dopo essere stato in Belgio e a Parigi (dove con l’amico Henry Coanda aveva allestito un aliante biplano che aveva volato sulle Ardenne) Caproni era tornato nella nativa Arco. Lì con mezzi di fortuna, assieme a Guido Moncher, in una piccola falegnameria costruì il primo elicoplano italiano, in legno, tubi di acciaio e tela. Aveva 23 anni. Quel velivolo non volò, ma Caproni e Moncher non si scoraggiarono. Gianni col fratello Federico costruì il suo primo prototipo di aereo. Ma per farlo volare dovrà trasferirsi oltre confine, a Milano, dove l’esercito italiano gli diede in uso la Cascina Malpensa

Guido Moncher con la moglie Elodie

Moncher collaborerà con Caproni dall’autunno 1909 alla primavera del 1910 quando, il 27 maggio, l’inventore arcense fece volare per qualche centinaio di metri il suo primo aereo, il Ca 1 (che si danneggiò all’atterraggio per probabile imperizia del pilota). 

Poco più di sette anni prima, nel dicembre del 1903, i fratelli Wright erano riusciti a far volare il loro “Fleyer”, la prima macchina più pesante dell’aria che avesse staccato l’ombra da terra. 

Il 10 gennaio 1910 anche Guido Moncher, grazie alle modifiche suggerite da Caproni, era riuscito a far compiere il suo primo volo al suo apparecchio “Elodie” (il nome della moglie di Guido). Al Museo dell’Aeronautica intitolato a Caproni, sul motore Rebus installato sul Caproni Ca. 6 (il più antico aeroplano esposto al Museo) è possibile riconoscere il motore originalmente montato sull’Elodie. Dopo di che il nostro Guido (un po’ come Leonardo che, assetato del nuovo, continuamente abbandonava i suoi progetti per passare ad altri) lasciò perdere l’aviazione. 

Scoppiata la Grande Guerra, Moncher, già pioniere dell’automobile, chiamato alle armi fu assegnato ai servizi automobilistici su fronte orientale. Riuscì a portare la ghirba a casa (“ghirba”, dall’arabo “girab”, otre di pelle, è una metafora militaresca per indicare la “pellaccia”), cercando di riprendere le sue attività commerciali e sociali. Ma si scatenarono invidie e rivalse. Per assurdo, dagli ultranazionalisti, gli venne contestato tra l’altro di aver combattuto con la divisa austroungarica, quando, tranne qualche centinaio di irredentisti che avevano combattuto con la “Legione Trentina”, tutti lo avevano fatto. Stanco di attacchi diffamatori, deluso e amareggiato Moncher si trasferì con la famiglia a Vienna, dove rivelò un’altra sua capacità, di saper scrivere libri. Scrisse e pubblicò infatti “La vera prova” con cui replicava punto per punto alle accuse che gli erano state mosse. Dopo la morte, il suo nome rimase nell’oscurità per quasi settant’anni. 

Finalmente arrivò un giornalista e scrittore romano, Memmo Caporilli, innamorato della Val di Non, attuale presidente dell’Associazione “Antiche Fornaci“ di Sfruz, che opera per recuperare la storia e la cultura della fabbrica di stufe a olle, vanto di questo paese anaune. Caporilli fece appassionate ricerche e pubblicò un libro sulla storia di Guido Moncher. Nel clima della riscoperta di Moncher, la realizzazione di un filmato, “Il volo di una vita” di Mauro Vittorio Quattrina, regista veronese con al sua attivo decine di documentari e filmati di successo. Il filmato, proiettato  per la prima volta all’Aeroporto “Caproni” di Trento l’11 novembre 2012 è stato realizzato con il sostegno di molti: la Provincia Autonoma di Trento, il Museo dell’aeronautica “Giuseppe Caproni”, il Comune di Coredo, l’Associazione Culturale “Storia Viva” di Verona, l’associazione Culturale “Memores” di Ala. Nel film che dura 57 minuti (ma ne è stata realizzata anche una versione di 15 minuti, da utilizzare nel museo a Moncher di cui si dirà tra poco) recitano due attori professionisti: Roberto Vandelli e Fabio Sidoti (questi nella parte del protagonista). Accanto a loro, attori dilettanti come Ivana Rizzardi nella parte di Elodie e Mauro Bert nella parte di Gianni Caproni. A Coredo è prevista la realizzazione di un Museo dedicato al nostro personaggio, al parco ”Alla Torre”, lì dove il pioniere dell’aviazione aveva eretto una torre di osservazione sul piccolo aeroporto a prato in cui immaginava i suoi aerei. Nel Museo, tra gli altri materiali, dovrebbero essere esposti due modelli in legno, ricostruiti in scala, della torretta e dell’elicoplano, realizzati dal veronese Massimo Marchiori. Infine, per conto, del Museo “Caproni”, sulla facciata di Via Oriola del palazzo-emporio-abitazione del nostro personaggio, in una preesistente cornice artistica (chissà se Guido l’avrebbe mai pensato…) è stata collocata una targa in cui, sotto due ali d’aquila in bronzo, figura la scritta: GUIDO MONCHER TRENTINO / COSTRUTTORE DEL PRIMO ELICOPLANO ITALIANO / COREDO 1873-VIENNA 1945. Se passate lì, a quel palazzo che già fu di questo sorprendente personaggio e alla targa che lo ricorda gettateci un’occhiata.

La ricostruzione del primo elicoplano italiano
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Pubblicato da Renzo Francescotti

Autore trentino dai molti interessi e registri letterari. Ha al suo attivo oltre cinquanta libri di narrativa, saggistica, poesia in dialetto e in italiano. È considerato dalla critica uno dei maggiori poeti dialettali italiani, presente nelle antologie della Garzanti: Poesia dialettale dal Rinascimento a oggi (1991) e Il pensiero dominante (2001), oltre che in antologie straniere. Sue opere sono tradotte in Messico, Stati Uniti e in Romania. Come narratore, ha pubblicato sei romanzi: Il Battaglione Gherlenda (Paravia, Torino 1966 e Stella, Rovereto 2003); La luna annega nel Volga (Temi, Trento 1987); Il biplano (Publiprint, Trento 1991); Ghibli (Curcu & Genovese, Trento 1996); Talambar (LoGisma, Firenze 2000); Lo spazzacamino e il Duce (LoGisma, Firenze 2006). Per Curcu Genovese ha pubblicato Racconti dal Trentino (2011); La luna annega nel Volga (2014), I racconti del Monte Bondone (2016), Un Pierino trentino (2017). Hanno scritto prefazioni e recensioni sui suoi libri: Giorgio Bàrberi Squarotti, Tullio De Mauro, Cesare Vivaldi, Giacinto Spagnoletti, Raffaele De Grada, Paolo Ruffilli, Isabella Bossi Fedrigotti, Franco Loi, Paolo Pagliaro e molti altri.