Sarà forse curiosità. Oppure un semplice fattore anagrafico. O piuttosto entrambe le cose. Del fenomeno riguardante gli anziani che guardano i cantieri – gli umarells, dal termine bolognese che classifica questa categoria di osservatori di lavori in corso – avevo già avuto occasione di parlarne. Ma mai in precedenza mi ero sentita così coinvolta nel vedere l’esecuzione progressiva di una grande opera.
All’inizio non ci avevo dato troppo peso, anzi. Dando uno strappo a mio figlio per recarsi al lavoro in zona industriale a Trento Sud, l’avevo colto – come tutti noi “brontoloni” da strada – come l’ennesimo ostacolo alla corsa contro il tempo per arrivare in orario. In prima battuta c’era solo un gran trambusto: deviazioni, strade a senso unico, restringimenti di carreggiata, serie di curve in sequenza. Quasi da sembrare una chicane da Formula Uno, almeno nell’immaginario degli abitudinari di tangenziale. E poi lì, ben allineati come una falange romana ingegnosamente disposta per l’attacco, venivano schierati i giganti da combattimento, ovvero i macchinari da demolizione, pronti ad avventarsi sul mostro di cemento. Insomma, giorno dopo giorno, ho avuto modo di osservare la lenta agonia del cavalcavia di Ravina, divorato e azzannato dalle ruspe.
E come non ricordare la vicenda del conte Ugolino e le tetre parole di dantesca memoria: “La bocca sollevò dal fiero pasto / quel peccator, forbendola a’ capelli / del capo ch’elli avea di retro guasto”. Troppa immaginazione? Forse sì. Ma vedere la vecchia sopraelevata (“vecchia”? Ha più o meno la mia età..!) decapitata in testa e in coda mi suscita un insieme di sensazioni, che spaziano dall’inquietudine allo sgomento, passando per una certa costernazione.
E se è vero e constatato che “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, – tanto per citare il famoso postulato della fisica – la distruzione del gigante trentino ci fa invece capire quanto poco ci voglia ad azzerare qualcosa, in maniera radicale. Ora restano solo un paio di piloni, che rimangono in attesa del loro destino: un cumulo di sassi e polvere, da disperdere chissà dove. E poi, gradualmente, ce ne dimenticheremo. Occasionalmente, salterà fuori in qualche tipico discorso da anziani: “Ti ricordi il vecchio cavalcavia?” “Ah sì, quello di Ravina?” “Esatto, quello che se lo prendevi a una certa velocità, ti saliva lo stomaco in gola, come sulle giostre!”
“Beh dai, muoviamoci, adesso andiamo a vedere il nuovo cantiere…”.