Partito da Fai della Paganella, dove vive, Yanez Borella, in sella ad una bici elettrica alimentata da un pannello fotovoltaico, con al traino un carrello con i viveri e l’equipaggiamento, sta pedalando alla volta del Karakorum, Pakistan, dove conta di arrivare, problemi alle frontiere permettendo, ad agosto.
Io penso a Yanez come ad un “esploratore moderno”, che ha intelligentemente reinventato l’arte dell’esplorazione. Oggi che non esistono più luoghi inesplorati, che persino le zone più remote possono essere controllate efficacemente dai satelliti, un viaggiatore ed esploratore quale è Yanez può assumersi un altro compito: documentare i cambiamenti. Lo scorso anno infatti aveva girato i maggiori ghiacciai italiani, da quelli dell’arco alpino fino in Abruzzo, per toccare con mano (o con gli sci) gli effetti del cambiamento climatico. E quest’anno?
La sua telefonata mi ha raggiunto il 12 giugno dal porto di Alat, in Azerbaijan, dove aspettava di imbarcarsi per il Kazakistan, al termine di una piccola odissea per i permessi di viaggio.
Yanez, come nasce questa nuova impresa?
“Water Higway” è iniziata ad aprile, con il supporto del MUSE, del Parco Naturale Adamello Brenta e dell’APT Dolomiti Paganella. L’obiettivo è raggiungere il Karakorum, attraversando paesi diversi per clima, geografia e culture, monitorando anche le reazioni delle popolazioni che li abitano alla scarsità di acqua, uno degli effetti più evidenti del cambiamento climatico.
Quali sono stati i momenti più emozionanti, fino ad oggi?
Uno fra i tanti: la salita del monte Ararat, con i suoi 5137 m. la cima più alta della Turchia, in Anatolia orientale, dove la maggioranza della popolazione è curda. Per l’occasione mi ha raggiunto un amico, il fotografo e alpinista Giacomo Meneghello, grazie al quale abbiamo immortalato alcuni dei momenti più importanti della salita e della discesa con gli sci dalla vetta, dove secondo la tradizione biblica è approdata l’Arca di Noè. Sulla cima c’era un vento fortissimo e siamo scesi subito, per fortuna su un bel manto di neve fresca.
Nonostante, o forse a causa del cambiamento climatico, quest’anno è piovuto molto.
Sì, quando sono partito c’erano molte piogge, in Europa e anche in Turchia e in Armenia, dove si sono verificate delle alluvioni. Però ad esempio a Istanbul le persone mi hanno confermato che il problema della scarsità di acqua c’è eccome. Lì tra l’altro gli acquedotti sono ancora quelli romani quindi con dispersioni pazzesche. Anche nella parte centrale della Turchia, nella zona di Konya, la culla della cultura sufi e dei dervisci danzanti, soffrono della carenza di acqua. In Grecia invece, che ho attraversato venendo dall’Albania, sono passato vicino ad Alessandropoli, dove l’estate scorsa c’è stato un enorme incendio, in quel caso di origine dolosa, in cui sono morte 20 persone. Adesso è un deserto, davvero spaventoso..
La neve dove l’hai incontrata?
Nella zona del lago di Van, Turchia orientale, dove ho organizzato l’ascesa all’Ararat. La guida che ci ha fatto i permessi ci ha raccontato che in inverno un tempo c’erano anche 10 metri di neve, adesso le precipitazioni si sono molto ridotte, il che crea un forte problema alla pastorizia, che era l’attività principale. Verso la fine della stagione ormai fanno fatica ad avere acqua per gli animali. Una volta tutti possedevano mucche e capre, adesso molti, a causa dell’incertezza per il futuro, cercano di cambiare vita e vanno in città.
Hai attraversato la Georgia, l’Armenia, l’Azerbaijan. La situazione politica attuale, in particolare la guerra in Ucraina, la si avverte anche lì?
Sì, molto. In Armenia negli ultimi 2 anni sono arrivati 200.000 russi, tutti nella capitale, Jerevan, una città di un milione di abitanti. Adesso sembra di essere a Monaco, girano soldi, macchine grossissime, i prezzi sono lievitati, una situazione kafkiana perché poi il resto dell’Armenia è totalmente diverso. Altro effetto: l’Azerbaijan per evitare che si creasse lo stesso problema con i fuoriusciti dalla Russia per sottrarsi alle conseguenze della guerra, in particolare per gli uomini il reclutamento, ha chiuso tutte le frontiere via terra, non ci puoi più arrivare se non in aereo. Hanno messo anche limiti all’importazione di valuta, soprattutto di rubli. Lì è iniziata la mia odissea.
Non volevano farti passare?
Esatto. Io sono arrivato via Georgia e al confine mi hanno bloccato. Allora sono andato a Tbilisi, la capitale, e ho cercato un aiuto nelle varie ambasciate, italiana, azera, ma niente da fare. Così mi sono rassegnato a percorrere un tratto in aereo. Ma con un carretto, quello in cui mettevo tutti i viveri e i pezzi di ricambio, non si poteva. Ho cercato di spedirlo, ma era difficilissimo. Alla fine ho dovuto rinunciarci, barattandolo per quasi nulla. È molto grave perché adesso devo attraversare dei deserti senza potermi portare dietro le scorte che mi servono, prima fra tutte quella d’acqua. Ma non è finita: le batterie al litio per la bike non possono essere imbarcate in aereo. Io ci ho provato comunque e al check-in le hanno trovate, pensavano che fossero bombe. Mi hanno tenuto fermo un’ora. Alla fine li ho supplicati quasi in ginocchio e mi hanno lasciato passare, così per fortuna sono arrivato a Baku da dove ho ripreso il viaggio.
Adesso cosa ti aspetta?
Il caldo, innanzitutto, qui ci sono 40 gradi. In Kazakistan e Uzbekistan gran parte del percorso attraversa zone desertiche, è duro. Nella bici senza carretto posso caricare 3,5 litri di acqua al massimo. Non ho molti ricambi per la bici. Devo stare attento a bucare, anche in questo il carretto aiutava, adesso tutto il peso si scarica sulla ruota dietro che fora facilmente. Viaggiare di notte poi è pericoloso per i serpenti, di giorno è troppo caldo, bisogna sfruttare i momenti intermedi.
Come reagiscono le persone che incontri?
Se sei da solo, specie lontano dalle grandi città, tutti ti danno una mano. Dagli albanesi ai greci, ai turchi, ai curdi e così via. Chi ti dà l’acqua, chi una pesca. Molti sono musulmani, l’ospitalità è nella loro cultura, ma in generale per tutti è normale comportarsi così. Nelle città il mondo ormai è omologato. Stessi consumi, stessi iPhone, negozi, marche. Lo stesso vale per le zone più turistiche, come la Cappadocia, che ho trovato invasa da indiani e cinesi. Io attraverso molte zone di montagna dove c’è ancora un modo genuino di reagire all’arrivo dello straniero, che spesso è una rarità. Lì l’accoglienza ti scalda il cuore.
L’italiano come viene accolto?
È molto associato alla musica. Toto Cutugno è ovunque. In Armenia, una mattina sono entrato in un paese, ho trovato il fornaio, aveva la radio accesa, mandava Biagio Antonacci. Quando ha saputo da dove venivo ha alzato al massimo volume.
Auguriamo buon prosieguo del viaggio a Yanez, e lo aspettiamo in Trentino al suo ritorno, ad agosto, ma anche a settembre, in Umbria, al Gecko Fest 2024 di Spina, dedicato quest’anno all’acqua, dove racconterà le sue esperienze di viaggio in relazione all’ambiente e al cambiamento climatico.