Invidiare un’apparente felicità

Pare che fosse andato al centro commerciale con l’intenzione di farsi del male, forse di procurarsi delle ferite con quei coltelli del Carrefour ma, una volta lì, il 47enne Andrea si è trovato davanti a uno scenario inaspettato. “Ho visto tutte quelle persone felici, che stavano bene, e ho provato invidia”: questo ha detto in sintesi al giudice che lo ha arrestato, con le accuse di omicidio e tentato omicidio plurimo, per aver accoltellato sei persone (uno è purtroppo deceduto) tra gli scaffali del supermercato Carrefour in un centro commerciale di Assago, nel milanese. Così, in questa tragedia – nelle parole dell’omicida – c’è un particolare che assegna un ulteriore carico di tragicità a quanto avvenuto e che ha a che fare con un aggettivo: “felici”. 

La scena la conosciamo tutti: persone che fanno acquisti, magari di fretta, nervose, oppure solamente ansiose di far trascorrere il tempo, di mettere a tacere possibili ribellioni di coscienza e inconscio, girando tra i corridoi ed i negozi di un classico tempio del consumismo. Che c’entra la felicità con tutto questo? Questa felicità talmente esplicita e conclamata da suscitare invidia, quasi rabbia?

Inquirenti e investigatori descrivono Andrea come una persona sola, con gravi problemi psichici, ma quante volte anche noi tra gli scaffali abbiamo confuso – specie nei giorni festivi – quella frenesia da offerta speciale, la botta adrenalinica da tre per due per la cara, vecchia, romantica “felicità”? 

E un’ulteriore domanda sorge improvvisa: cosa avrebbe detto l’omicida se anziché gli avventori di un centro commerciale si fosse trovato davanti gli spettatori di un teatro? O i visitatori di un museo? I partecipanti di un corso di yoga? Due innamorati che si baciano su una panchina del parco? Avrebbe visto “felici” anche loro al punto da invidiarli, fino da costringerlo a trasformarsi in un assassino? A commettere il gesto più brutale della sua intera esistenza? Oppure no? Al contrario avrebbe giudicato semplicemente annoiata tutta la gente seduta in poltrona, apatici gli esseri vaganti davanti ai grandi quadri astratti, catatonici uomini e donne seduti a gambe incrociati e occhi chiusi, paranoici lui e lei con le bocche così incollate? È lecito supporre che non avrebbe dunque fatto nulla di male a costoro, anzi, forse avrebbe provato addirittura pena per loro, giudicando incomprensibili certi atteggiamenti, così lontani dall’atmosfera di un centro commerciale che invece fa così bene all’umore.

Se non stessimo parlando di una persona disturbata e di un povero commesso morto, forse ci sarebbe scappato perfino un sorriso. E invece questa storia è tra le più tristi. Molto più triste dell’apparente felicità di chi sa di non essere felice. E di chi la invidia.

Condividi l'articolo su:
Avatar photo

Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.