Ci diamo appuntamento in redazione in un pomeriggio di aprile piuttosto inclemente, battuto da un vento sostenuto, a tratti molto forte. Ripensandoci, un clima che diventa quasi un’istantanea dei luoghi aspri e selvaggi di cui stiamo per andare a raccontare. Sì, perché alle volte tutto trova inspiegabilmente un suo significato e una precisa collocazione. Come abbiamo potuto constatare da questa intervista.
Ma da dove iniziare? Partiamo da una di quelle che lui, appunto, definisce una delle sue tante vite. Cominciamo col dire che Rolando Pizzini è docente di religione per tre giorni in settimana al liceo “G. Prati”. Gli altri due giorni insegna alla Casa Circondariale di Spini di Gardolo, a Nord di Trento. Due esperienze altamente formative nella loro profonda diversità.
E lo scrittore? Quando inizia a maturare in lui l’idea del libro? Tutto nasce da un primo viaggio in Australia di imprecisati anni fa, dettato dal desiderio di un determinato momento. Girando per l’esteso territorio viene in contatto con molti emigrati trentini. Ed è forse qui che scatta la scintilla: viene a sapere che il primo trentino in terra australiana era morto nel Nord, con gli aborigeni. Attinte informazioni da un padre missionario (e da sempre incuriosito da quelle che lui definisce “cose strane”) si reca in seguito agli Archivi Vaticani e là ha subito sentore di avere davanti a sé una storia molto interessante. Sulla base di queste informazioni, compie un viaggio di ricerca in Australia ed entra in territorio aborigeno, dove portavano le tracce di questo conterraneo. L’anno del suo passaggio è il 1846; lui si trovava in Australia dal 1845 e morirà già nel 1848. Da subito Rolando capisce l’entità della scoperta e che da solo non sarebbe riuscito a ricostruire l’intera vicenda; nasce così un team italo-australiano, che riuscirà a portare alla luce quasi tutta la storia di Angelo Confalonieri, missionario trentino tra gli aborigeni. La ricerca si concretizza in un saggio contenente tutti i lavori degli studiosi coordinati proprio da Pizzini; il saggio viene tradotto in inglese ad opera del Museo Storico. Il testo fa sentire la sua voce – soprattutto in Australia – e numerosi autori attingono alla storia di Confalonieri per costruirne vicende romanzate.
Ma chi era, nello specifico, Confalonieri? Rolando lo definisce subito, senza esitazioni, un “prete atipico”. Fattosi sacerdote, si reca in missione in Australia. E già qui – sottolinea l’autore – ci sarebbe da scrivere un libro… Comunque lì accade che il Confalonieri viene assegnato a Nord, dove si trovava un avamposto inglese in territorio aborigeno. Insomma decide di andare a vivere tra i nativi, ma anziché realizzare la classica missione, decide di stabilirsi prima in una capanna, per poi seguirli nel loro cammino. Il suo scopo è quello di evangelizzare; l’aspetto straordinario è la scelta di vivere con loro, insieme a loro. Per l’epoca, è stato come fare un tuffo nella preistoria. E la straordinarietà è stata soprattutto il fatto di riuscirci. Chi era passato prima di lui, o era scappato o era impazzito. Modi di vita totalmente diversi, catalogabili come “altro”: altri modi di vestire, di mangiare, di relazionarsi. Invece lui si trova così bene da venir definito “NAGOYO”, ovverosia “PADRE”.
Per la Chiesa è una figura importante in quanto ha portato il cristianesimo nel Nord Australia; in Australia era già una figura di spicco in qualità di linguista: in un paio d’anni produce non solo la traduzione di poche parole ma di due interi frasari, tentando di ricostruire le strutture linguistiche locali. E poi la totale immersione nel mondo aborigeno. La sua figura è stata presa in esame anche dagli antropologi: la figura del missionario che si addentra in zone estreme e che riesce a farsi accettare dai nativi non può che suscitare attenzione; terminologie emerse dai suoi frasari stanno ad indicare il suo essere veramente inglobato nel mondo degli aborigeni. Questo del resto accadeva anche in Africa: è confermata la curiosità di apprendere la lingua dell’invasore, ma consegnare la propria lingua significava consegnare la propria anima… E l’anima si consegna solo a chi ci sta a cuore.
E la storia di Confalonieri si svela quindi progressivamente molto interessante ed avvincente. Da questo saggio infatti, uno dei più grandi scrittori australiani – McKenna – ha elaborato un testo ed ha ringraziato il team di Pizzini per le preziose ricerche svolte.
Ma oltre al fatto di vivere con gli aborigeni, cosa ha caratterizzato e definito l’atipicità di Confalonieri? Esistono altri elementi al vaglio degli studiosi; dobbiamo considerare che il periodo in questione era quello del naturalismo e che quindi molti studiosi si recavano nella zona Nord dell’Australia. Confalonieri ogni tanto passava per l’insediamento inglese e le fonti riportano l’impressione di un uomo che non sembrava neanche un prete, talmente dimostrava di essere liberale ed aperto.
La straordinarietà del personaggio insomma – a detta degli stessi australiani – è costituita dal fatto che si sia riuscito ad integrare in piena epoca dove tutti i missionari andavano a sostenere gli inglesi e gli irlandesi, quindi in sostanza la parte colonialista. E poi non bisogna dimenticare che in quest’epoca si era scientificamente convinti che il nativo in sé – e ancor di più l’aborigeno australiano – costituiva sostanzialmente l’anello di congiunzione tra la scimmia e l’uomo. Confalonieri invece, possiamo dire controcorrente, era pienamente convinto di trovare persone. Indubbiamente nel delineare la sua figura ha inciso il suo carattere; inoltre era bravissimo nelle lingue, favorito dalla sua formazione classica. E l’aspetto divertente è che Pizzini scopre in fase finale delle sue ricerche che Confalonieri era stato allievo del Prati, scuola nella quale oggi insegna!
Dal saggio è nato il romanzo, “L’incredibile storia di Nagoyo”. L’idea di Pizzini è stata quella di trarre dalla realtà una storia romanzata, per diffondere la sua storia. Il romanzo mescola dati reali con dialoghi immaginari tra il prete e il capitano McArthur, l’inglese cioè che ha aiutato Confalonieri a diffondere il cattolicesimo a poche miglia di mare da dove gli inglesi volevano fondare la nuova Sydney. I dialoghi vogliono veicolare la parte di cristianesimo che l’autore ritiene più vera, più aperta, più tollerante dei Vangeli. Un dialogo che è anche un confronto: poco inglese uno, e probabilmente poco cattolico l’altro…
Il romanzo è piaciuto anche al famoso regista Pupi Avati, tanto che in copertina – tra cielo e paesaggio – campeggia una sua frase che fa riferimento al grande Chatwin.
Un’esperienza forte e di spessore per Pizzini, che in qualche anno ha condotto ricerche e prodotto il romanzo. Parla anche di tante fatiche e di tanti chilometri percorsi, ma con la soddisfazione di avere raggiunto importanti risultati. Ma poi, per sua stessa ammissione, lui dichiara di essere abituato a certe sfide nella vita: nella scuola, nello sport, nella cultura.
E poi dichiara di aver avuto tanti colpi di fortuna: in pieno territorio aborigeno incontra casualmente l’unico linguista al mondo che conosceva Confalonieri, che studiava la lingua che Confalonieri traduceva e che quella sera – come Pizzini – rientrava a Darwin. E poi la mappa di Confalonieri trovata un minuto prima che la libreria di Melbourne chiudesse, dopo un’intera giornata di ricerche; e la visita ad una scuola nella quale per caso incontra il più grande studioso australiano di storia della Chiesa. Entrambi i personaggi faranno poi parte del team di ricerca di Pizzini.
Altro aspetto rilevante è stato il fatto di concretizzare e realizzare in tempi record la raccolta dei documenti, grazie alla puntuale organizzazione australiana.
Quindi da una parte la ricerca, dall’altra il romanzo. Una grande soddisfazione per Rolando Pizzini, che a luglio si recherà nuovamente in Australia per partecipare ad un grande convegno al parlamento di Darwin su Confalonieri. È una grande soddisfazione anche quella di aver scoperto una storia importante, carica di significato sotto molti aspetti. Nonché i numerosi riconoscimenti frontali e trasversali – come il fatto di aver dato spunto ad altri autori – che inevitabilmente arricchiscono il percorso formativo di un ricercatore e di un autore. Una storia che è un viaggio, un viaggio che diventa una storia vera e un romanzo. Un punto di arrivo ma con la prospettiva di un’altra partenza. Per scoprire ancora la straordinaria storia dell’uomo.
Angelo Confalonieri, l’amico “Nagoyo“ |
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Angelo Confalonieri fu il primo “uomo bianco” ad aver scelto di vivere liberamente con e per gli aborigeni australiani. Il missionario nacque a Riva del Garda il 22 giugno del 1813. Egli, nel nord Australia, a Cobourg Peninsula, visse per ben due anni con i popoli di Cobourg adottando uno stile di vita estremamente duro per un europeo. Morì il 9 giugno del 1848, ma nonostante i soli due anni trascorsi con gli aborigeni, a differenza di altri che gli incontrarono, fu disponibile ad integrarsi ed a mutare “pelle” e metodi di evangelizzazione a tal punto che i nativi gli attribuirono un “nome di gruppo di pelle”, Nagoyo, per includerlo nella loro società. Ciò che fece fu decisamente un’impresa unica nel contesto australiano del tempo e la parola Nagoyo, quale segno di riconoscimento rivela l’integrazione raggiunta fra un prete trentino e il popolo del “Tempo del Sogno”. Integrazione che risulta ancora più sorprendente se opportunamente contestualizzata nell’Ottocento australiano e mondiale periodo storico che, come sappiamo, è contrassegnato da episodi di diffidenza, esclusione e brutalità operate da parte dei conquistatori nei confronti dei popoli aborigeni. |
Gli aborigeni: “generazioni rubata”
L’arrivo dei primi Aborigeni sul continente australiano risale a circa 50mila anni fa quando il paese era terra franca per i grandi mammiferi e le incontaminate e selvagge foreste. Questi primi abitanti occuparono le terre australiane e si organizzarono in tribù sparse per il territorio. Le tribù che vivevano sulle coste si dedicavano all’agricoltura, all’allevamento e alla pesca, mentre quelle dell’entroterra erano estremamente abili nella caccia, che forniva loro il sostentamento di cui avevano bisogno.
La loro organizzazione venne sconvolta dall’arrivo dei coloni britannici che si appropriarono delle terre secondo il principio della terra nullius, che gli permetteva di occupare questi territori in quanto completamente disabitati. Oltre che all’espropriazione delle terre l’invasione coloniale provocò anche una netta diminuzione della popolazione aborigena a causa delle malattie provenienti dal continente europeo a cui il loro corpo non sapeva reagire. Si pensa che la popolazione locale passò da circa 1 milione ad appena 60mila persone. Per tutto il XX secolo è proseguito il tentativo di sradicare questa cultura dalla terra australiana (per esempio con la pratica barbara dell’affidamento dei figli aborigeni a famiglie discendenti dalla colonizzazione europea). Questo è quello che gli aborigeni definiscono “generazione rubata”. Nonostante questi tentativi alcuni residui di popolazione aborigena resistono nelle zone periferiche delle città, ma soprattutto nelle remote zone del nord del paese, dove sono riusciti a riottenere alcune delle terre di loro antica proprietà.