Una serena mattina di fine aprile, Franz Kafka, che mai si sposò e non ebbe figli, passeggiava per un parco di Berlino, quando incontrò una bambina, Elsi, che piangeva disperata. Aveva perso la sua bambola preferita e non si dava pace. Kafka si unì a lei nella ricerca, ma purtroppo, non riuscirono a trovarla da nessuna parte. Per provare a confortare la piccola, Kafka le disse di incontrarlo il giorno dopo nello stesso posto..
Provarono a cercare ancora un po’ e quando anche l’ultima speranza si arrese, Kafka diede alla bambina una lettera. Era un messaggio da parte della bambola, che aveva deliziosamente pensato di scrivere lui e diceva: “Per favore non piangere. Ho fatto un viaggio per vedere il mondo. Ti scriverò delle mie avventure.”
Durante i successivi incontri, Kafka leggeva le lettere della bambola scritte in modo così accurato e piene d’umorismo che le vicende risultavano perfettamente attendibili: era cresciuta, era andata a scuola, aveva conosciuto altre persone. Rassicurava sempre la bambina del suo amore, ma alludeva anche a complicazioni della sua vita, ad altri doveri e altri interessi che, al momento, non le permettevano di riprendere la vita in comune.
Quando i loro incontri arrivarono alla fine, Kafka regalò a Elsi una bambola. Era ovviamente diversa da quella perduta, ma in un biglietto accluso spiegava: “I miei viaggi mi hanno cambiata”. La bambina abbracciò la nuova bambola e la portò tutta felice a casa.
L’anno seguente Kafka morì. Molti anni dopo Elsi, ormai cresciuta, trovò un biglietto nascosto dentro la bambola ricevuta in dono. Riassumendolo diceva: “ogni cosa che tu ami è molto probabile che la perderai, ma alla fine l’amore muterà in una forma diversa“. Immagino la tenerezza agrodolce di quel momento, il ricordo di un gesto simile ad un abbraccio avuto da chi non c’è più.