La carbonara e la guerra dei dogmi

Se non siete mai stati bullizzati online e volete provare l’esperienza, ecco una strategia: scrivete in un forum pubblico che per voi la carbonara può benissimo essere preparata con la panna. In men che non si dica la vostra casella di posta inizierà a scoppiettare di messaggi in cui sconosciuti vi minacciano con un rassicurante piglio romanesco tipo Banda della Magliana. Nel caso di specie, il contenzioso riguarda la ricetta della carbonara. Piatto “salva-cena”, lo si prepara con ingredienti che solitamente non mancano in frigorifero. Per decenni l’approccio che abbiamo avuto verso la carbonara è stato informale: ci abbiamo messo la pasta corta, la pancetta, il parmigiano, l’uovo a cuocere, persino la cipolla e la panna. La forza della carbonara stava proprio nella sua adattabilità. Ma da pochi anni, ha preso piede la setta dei “carbonaristi”, adepti che attaccano in maniera virulenta chiunque osi distaccarsi dal dogma inviolabile della tradizione romana: pecorino, guanciale, uovo crudo, pepe, da amalgamare rigorosamente a fuoco spento. E c’è tutta una tecnica sopraffina per ottenere la “cremina”, che nemmeno Cracco in preda a visioni mistiche. Dopo 180 ore di tutorial culinari su Youtube, forse sei degno di preparare la “vera” carbonara. Eppure, ciò che sfugge ai “carbonaristi” è che la tradizione romana della carbonara semplicemente non ha fondamenta. La carbonara è un piatto dalle origini incerte, probabilmente nato nel Dopoguerra come elaborazione della “pasta e ovo” abruzzese su ispirazione dei soldati americani che mettevano il bacon dappertutto. Le nonne iniziarono a aggiungere la pancetta, insieme alla cipolla, alla panna, a tutto quello che potevano trovare nella povera dispensa. Fino a pochi anni fa, la carbonara la si faceva così in tutta Italia. Poi l’avvento dei cuochi gourmet ha portato sui social la famigerata carbocrema e ha inventato, dal nulla, una tradizione che non esiste. Ma se tenterete di sfidare la farlocca tradizione, passerete un brutto quarto d’ora: perché non è una questione di gastronomia, ma di identità. Le persone hanno bisogno di riconoscersi in gruppi, veri o artefatti non conta nulla, di stabilire un “noi” e un “loro”. D’altronde nella cultura popolare italiana, non c’è nulla di più sacro della gastronomia. Con buona pace della nonna abruzzese, che pur di salvarsi dai morsi della fame non andava troppo per il sottile tra pancetta e guanciale. E con buona pace dei turisti, che anelano a farsi spennare pur di vivere esperienze fintamente “autentiche”.

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Pubblicato da Fabio Peterlongo

Nato nel 1987, dal 2012 è giornalista pubblicista. Nel 2013 si laurea in Filosofia all'Università di Trento con una tesi sull'ecologismo sociale americano. Oltre alla scrittura giornalistica, la sua grande passione è la scrittura narrativa. È conduttore radiofonico e dal 2014 fa parte della squadra di Radio Dolomiti. Cronista per il quotidiano Trentino dal 2016, collabora con Trentinomese dal 2017 Nutre particolare interesse verso il giornalismo politico e i temi della sostenibilità ambientale. Appassionato lettore di saggi storici sul Risorgimento e delle opere di Italo Calvino.