2. La cascata dei balocchi

Niagara – in lingua irochese (pellerossa d’America), Onguiaahra – significa “acque tuonanti”. Si tratta di tre cascate distinte anche se originate dal medesimo fiume, il Niagara, appunto. Durante la caduta, la velocità di ogni singola molecola d’acqua, che sia di fluido o del corpo rigido, accelera verso il basso per effetto della gravità. Questo significa che, per una molecola che inizia il moto all’istante 0, il modulo della velocità al passare del tempo è data dalla formula V (t) = V0 + gt dove Vo è la velocità iniziale. Calma calma… Non scrivo tutto ciò per farmi bello, ma solo per dire che io a questa cascate ci ero andato con un piglio quantistico, quasi animista. Quel che cioè mi interessava scrutare era la potenza della natura. Lo sconquasso e la costanza di una quantità immane di acqua che saltando nel vuoto prova a devastare quel che trova innanzi a sé. Sì, insomma una specie di tempio, un luogo di riflessione per noi umani rispetto alla preponderanza della chimica e della fisica. Ed invece, una volta giunto a Niagara Falls, dopo una debita sosta a Niagara-on-the-lake, di contro uno squisito paesino senza tempo, mi sono ritrovato nel paese di balocchi.

No perché certe cose bisogna che le si sappiano, altrimenti furbi promotori turistici pompano la sacralità su scala mondiale e poi solo in loco ti riservano in loco la sorpresa definitiva. (“Tanto”, ragionano, “questi alle cascate del Niagara ci vengono una volta sola nella vita”).

Di che sorpresa sto parlando? Beh, ve la voglio raccontare partendo da qualcosa che mi è accaduto non appena tornato a Maple. In cerca di ci qualcosa da mettere sotto ai denti mi sono avventurato fino a Fortino’s, un grande supermercato che si affaccia sulla Melville Avenue, per comperare una bottiglia di vino e qualche trancio di pizza (canadian version, as obvious).

A proposito, nell’uscire ho finalmente conosciuto Nhi, la padrona di casa, vietnamese e non cinese come avevo ipotizzato. Le ho chiesto se in questa casa tanto salutista c’è spazio per un cavatappi, sorridendo mi ha fatto cenno di no. Quindi dovevo trovare qualcosa con tappo a vite. Alla cassa di Fortino’s, una giovincella molto simpatica (sono ironico), alla vista della bottiglia ha avuto una reazione scomposta, come se le avessi fatto non so quale proposta oscena. “È vino – le ho detto nel mio inglese maccheronico. Non ha il tappo in sughero, vero?” Per tutta risposta la commessa ha preso un microfono e ha urlacchiato qualcosa che non ho compreso. Boh, ho pensato, avrà chiamato la polizia? No, non l’aveva fatto, perché è arrivata una collega, un po’ più grande di lei. Ha preso un sacchetto di carta e ci ha infilato la mia bottiglia di Pinot bianco dell’Ontario. A quel punto ho capito. La prima cassiera era minorenne e non poteva nemmeno toccare la bottiglia, mi hanno spiegato.

Ok. Sono uscito, animato da uno strano disagio. E dopo qualche centinaio di metri ho finalmente capito. Dalla rabbia volevo tornare indietro. Sì, ritornare davanti a quell’antipatica e farle presente di quanto era ipocrita lei, la legge che le aveva imposto quel teatrino, tutto uno Stato che imponeva di “nascondere” la bottiglia all’interno di un sacchetto di carta. Perché non sta bene che si veda che hai tra le mani una bottiglia di vino, cribbio. Cosa pensano di fare a quel modo?

E a Niagara, allora?! In quel paese dei balocchi? Tra milioni di selfie, il pazzesco rito in cui il visitatore vuole condividere il posto sul palcoscenico. Nel luogo di possibile perdizione, dato che accanto ai vari fast food, al tunnel dell’orrore, al non plus ultra del kitsch, in una versione in sedicesimo di Las Vegas, ci sono i sempiterni Casinò. Ve ne sono di tutti i tipi. Classicheggianti sul versante canadese, invitanti, suadenti come donnine di malaffare, altri più moderni occhieggiano dal versante USA come a dire guarda che noi “o famo mejo”. David mi ha spiegato un’altra differenza, Laggiù, mi ha confidato ti servono da bere gratis, in sale da gioco con temperature polari. Si non ti devi addormentare, bello! Prima ti devi rovinare. E poi guarda, guarda quanto sono belle questa cascate…

Sono le 8.30 di sera e sto aspettando i bagagli che Air Canada ci ha smarrito all’arrivo. Finalmente potrò indossare il mio amato pigiama. Nhi sta innaffiando il giardino, ne approfitta per dirmi che in Italia non è mai venuta e che le piacerebbe molto. Poi però c’è spazio solo per l’Aloe, una sorta di panacea per tutti i mali dell’umanità. Intanto dalle casette perfettine che ci circondano, ogni tanto giungono i versi di qualcuno alterato che ha da ridire con qualcun altro. La perfezione dei giardini, le casette senza un difetto, i suv allineati sulla soglia manco fossero protuberanze dei corpi, come una gamba troppo lunga che spinge il piede oltre il bordo del letto. “They are arguing”, mi fa Nhi, solvando le spalle. No, penso, secondo si stanno proprio menando.
In quel momento, prima che possa lanciarmi in un nuova riflessione sull’ipocrisia umana, riflettendo su come le acque del NIagara potrebbero risolvere un sacco di conflitti all’istante; mentre penso ancora alla potenza di tonnellate di molecole in caduta libera, arriva la BMW del buon David con le valigie. “Ehy, man, santo subito!” “What?!” Ah, niente niente…
Preparo la giacca e i libri che domani si va dal Console
. Lo sguardo della Meneghina dalla copertina del libro è compiaciuto. “Hai visto?”, sembra dire. “Uomo di poca fede. Vedi di farmi fare bella figura domani!. Che adesso, tocca a me!”

pinoloperfido@gmail.com

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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.